Avvenire, 8 dicembre 2024
Va in scena a Doha la Yalta del dopo-Assad
Alle porte di Damasco. Un’avanzata inarrestabile quella di Hayat Tahrir al-Sham che – tra diserzioni e fughe all’estero di soldati dell’esercito regolare – è ormai alla periferia della capitale. Le milizia di Hts avanzano da Nord, mentre si combatte ancora per il controllo di Homs, ma anche dalla provincia meridionale di Daraa. Una morsa che si stringe progressivamente fino ai palazzi del potere di Damasco, mentre al Forum di Doha Russia, Iran e Turchia rispolverano il “formato Astana” per una «soluzione politica» che potrebbe significare la spartizione della Siria in aree di interesse. Perché questa volta il regime dittatoriale e lo Stato di polizia inaugurati nel 1970 da Hafez el-Assad e proseguiti nel 2000 con il figlio Bashar – sopravvissuto indenne a quasi 14 anni di guerra civile – ora sembra essere colpito fin nelle sue fondamenta.
«Damasco vi attende», ha incitato il leader di Hayat Tahrir al-Sham suTelegram firmandosi Ahmed al-Sharaa, il suo vero nome, invece di quello di battaglia Abu Mohammed al-Jolani. Un proclama da leader politico, un passo decisivo per raggiungere quanto annunciato venerdì: «L’obiettivo della rivoluzione è il rovesciamento di questo regime». Non solo propaganda se l’Iran ordina di evacuare politici e militari, gli Stati Uniti invitano i cittadini statunitensi a lasciare il Paese, l’Onu ritira il personale non essenziale ed Egitto e Giordania invitano Assad a formare un governo in esilio.
Dopo una riunione in video conferenza con tutti gli ambasciatori italiani della regione, a cominciare da Stefano Ravagnan appena insediatosi a Damasco, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha assicurato che «al momento non ci sono preoccupazioni» per gli italiani. Alcuni sono già riusciti a lasciare il Paese e «tutti sono in contatto con la nostra ambasciata a Damasco che è pronta ad organizzare l’evacuazione in Libano e in Giordania» degli italiani e dei religiosi. Preoccupazione del titolare della Farnesina, che ha preso contatto con il nunzio apostolico in Siria, cardinale Mario Zenari, è di «preservare la popolazione civile» e che «venga garantita la sicurezza di tutte le minoranze a partire da quella cristiana». Dopo essere avanzate da Idlib di 400 chilometri in 10 giorni, le milizie jihadiste e ribelli del composito spettro dell’opposizione, hanno «cominciato a circondare la capitale» siriana e sono a 10 chilometri, riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra. Secondo al-Jazeera le forze del regime si sarebbero ritirate da Zakia, città a sud della capitale come da Artuz, centro a 15 chilometri a sud-ovest, mentre i ribelli rivendicano di aver preso il controllo di Kanaker. Notizie smentite dal comando dell’esercito, notizie che sarebbero parte di un «complotto contro la Patria», mentre il ministro degli Interni Mohammed al-Rahmoun annunciava la costituzione di «un cordone di sicurezza» attorno a Da-masco che «nessuno può penetrare». Nessuna ritirata, ma dei riposizionamenti per organizzare la linea di difesa mentre il presidente Assad, per fugare le voci di una partenza all’estero, fa sapere di essere al lavoro nei sui uffici. Ma per Hassan Abdul-Ghani, comandante degli insorti, con l’accerchiamento di Damasco siamo nella «fase finale» dell’offensiva mentre una statua di Hafez el-ssad, presidente fino al 2000, veniva abbattuta nel sobborgo druso di Jaramana. A sera, però, la Cnnrilanciava l’ipotesi di una fuga di Assad da Damasco dicendo che è «introvabile».
L’accerchiamento si stringe se, come riferisce l’Osservatorio siriano, le milizie antiregime hanno preso il controllo dell’intera provincia meridionale di Daraa, dove il 15 marzo 2011 iniziò la Primavera siriana. Nella vicina Suwayda sono in fuga il governatore, i capi della polizia e il leader del partito Baath mentre i ribelli hanno conquistato diversi quartieri. E l’esercito ha abbandonato anche il valico di frontiera di Quneitra, al confine con Israele che ha inviato rinforzi. L’opposizione avanza anche a Manbij, 30 chilometri dalla Turchia, mentre Hassaké e Qamishli – nella Siria orientale – sono adesso sotto il controllo dei curdi dell’Ypg. E 2mila soldati siriani hanno trovato rifugio in Iran. Sviluppi impetuosi, che esigono una immediata risposta internazionale: al Forum di Doha torna in attività il “Formato Astana”, la trattativa tra Russia, Iran e Turchia che nel 2017, nella capitale del Kazakhistan, sancì il cessate il fuoco nel Nord della Siria rimasto formalmente in vigore fino a due settimane fa. I ministri degli Esteri di Mosca, Teheran ed Ankara hanno chiesto, fa sapere l’iraniano Araghchi, «negoziato e dialogo» fra il governo di Damasco e «i gruppi legittimi dell’opposizione». Per il russo Lavrov è «inammissibile consentire a un gruppo terroristico di prendere il controllo del territorio» ed è per questo che il Cremlino continua a fornire assistenza militare. Russia, Iran e Turchia hanno concordato «misure pratiche», prosegue Lavrov, per rendere concreto i loro appello alla cessazione delle ostilità. Ma nessuno dei tre Paesi sarà disposto a cedere. «Abbiamo un confine di 910 chilometri con la Siria e non possiamo permetterci di chiudere un occhio» ha affermato il presidente turco Erdogan, parlando al congresso dell’Akp, il suo partito. Si parla di difesa dell’integrità territoriale della Siria, ma una sua possibile spartizione in aree di influenza non troverebbe opposizione a Washington. «La Siria è un caos» e «gli Usa non dovrebbero avere nulla a che fare con essa. Questa non è la nostra battaglia» ha scritto Trump sulla piattaforma Truth. Il regime, fanno sapere alti funzionari alla Cnn,«potrebbe cadere in pochi giorni».