il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2024
Biografia di Giuseppe Pedersoli
Il sorriso, lo sguardo, un qualcosa di vagamente familiare, anche di leggero e rassicurante, c’è. Poi un po’ di fantasia ed ecco le tracce di Bud Spencer nel figlio Giuseppe Pedersoli.
Sceneggiatore e produttore è anche l’anima di Piedone, uno sbirro a Napoli, serie tv con alle spalle Sky, Wildside e Titanus, e Salvatore Esposito nei panni del poliziotto, modi spicci e cuore grande, interpretato negli anni 70 dal padre. (“Salvatore mi piace come attore e come persona: merita un pubblico non solo italiano”).
Come sa bene, a volte le dinamiche sono le più imprevedibili..
Si riferisce a mio padre? Effettivamente il successo sorprese anche lui e Terence (Hill). E già dal primo film, Dio perdona… io no!, nonostante non appartenesse al filone nato con Trinità.
Trinità cult assoluto.
Talmente forte da portarsi appresso i film precedenti: alcuni Paesi esteri, come la Germania, hanno ridoppiato pellicole come Dio perdona, ma in chiave umoristica, solo per seguire il successo di Trinità.
Per alcuni intellettuali dell’epoca il successo internazionale di Bud Spencer e Terence Hill era diventato un cruccio…
Non solo per loro; visti gli interessi che giravano intorno al cinema, nacquero invidie e gelosie. Poi all’inizio dell’avventura ero solo un ragazzo, quindi me le raccontavano; quando sono diventato produttore e ho lavorato con mio padre, ho capito meglio.
Lei com’è entrato nel mondo del cinema?
La mia strada era quella dell’avvocatura, tanto da trasferirmi a Milano per studiare, ma nell’estate del 1983 venni coinvolto nella preparazione di C’era una volta in America, soprattutto perché parlavo inglese e francese: mi ritrovai insieme a Sergio Leone, Robert De Niro, Treat Williams, Joe Pesci, Elizabeth McGovern e altri. Per la laurea mi mancavano due esami e la tesi: non sono più tornato all’università.
Irretito.
Eppure la mia famiglia è nel cinema dai tempi di mio nonno materno, Giuseppe Amato (produttore anche di La dolce vita).
Torniamo a quel cast straordinario…
Era talmente bello lavorare su quel set, che ero pronto ad accettare di tutto: magari mi alzavo alle quattro del mattino per prendere un’attrice e lasciarla al trucco dove restava immobile per tre ore e mezzo. Poi verso le undici di sera la riportavo a casa.
H24.
Sì, ma stavo con Sergio Leone, personaggio particolare e grazie a lui ho vissuto in pochi mesi dentro l’università del cinema: magari fermava me e suo nipote, Luca Morsella, e ci domandava: “Come girereste questa scena?” o “perché la scenografia è sbilanciata?”.
Traduciamo il “personaggio particolare”.
Soggetto tosto, sotto pressione per una pellicola impegnativa; un giorno, a riprese finite, gli chiesi se in fase di montaggio stava uscendo il film che aveva immaginato. “No, al montaggio in parte tutto si ricrea”.
De Niro?
Uomo imprevedibile, forse per la forte concentrazione: avevo il compito di portarlo sul set, a volte mi trattava male, “non camminare vicino a me”, altre era gentilissimo, magari accettava una foto insieme con tanto di dedica; (ci pensa) c’era veramente tanta tensione, una lavorazione lunga, complessa, anche con alcuni incidenti, tipo l’incendio di uno dei set principali e la successiva accusa che fosse stata una strategia per truffare l’assicurazione.
Rispetto ai set di Sergio Leone si favoleggia di mangiate folli. Un po’ come per suo padre…
(ride) Non solo papà. Oltre a lui c’era Enzo Barboni (regista) che pesava 130 chili, Sergio Corbucci circa 120, Italo Zingarelli (produttore) 180. Quei set erano dei momenti eccezionali di convivialità pure enogastronomica; (sorride) Sergio possedeva una sapienza di cinema talmente estesa, che gli permetteva di arrivare in ritardo sul set, anche di due ore, e di recuperare il tempo perso grazie a un piano sequenza perfetto.
Ma le mitologiche mangiate?
Papà aveva una gigantesca roulotte americana, una zona franca dedicata alla goliardia, con dentro, stipati, pacchi e pacchi di pasta; (sorride) ogni tanto amava creare ricette impensabili, come gli spaghetti ai corn flakes.
Terribili.
Allucinanti.
Alla Tognazzi.
Tognazzi credo fosse più dedicato e culturalmente edotto.
Nori Corbucci ha definito suo padre giovane come un figo pazzesco. “Tutte innamorate di lui”.
Forse prima che lo conoscessi, perché quando sono nato era già in sovrappeso.
Infondeva sicurezza?
Eccome.
Anche a lei.
E tranquillità, ma da piccolo non l’ho vissuto molto, lavorava sempre, così l’educazione mia e delle mie sorelle l’ha impostata mamma.
Una famiglia in vista.
Con qualche piccolo problema.
Cioè?
All’inizio degli anni 80 ci hanno allertato per il pericolo di rapimento: eravamo all’Argentario, al mare, e usciti dall’acqua ci dissero “tra mezz’ora si parte”. Noi ignari. Ma i carabinieri ci scortarono fino al confine francese. Solo dopo alcune settimane siamo tornati a casa.
Avete mai scoperto com’è nata la storia?
Lasciamo perdere.
I film con suo padre sono famosi nel mondo.
Pure a Cuba, in sette o otto cinema proiettavano pellicole con lui, poi sono arrivate lettere dalla Cina o dall’Iraq. E qualche anno fa all’Università La Sapienza di Roma hanno organizzato una quattro giorni di dibattiti per svelare il segreto di Bud Spencer e Terence Hill. Ci sono andato, in incognito.
E… ?
Uno dei panel era dedicato alla domanda se Bud e Terence avevano un afflato omosessuale.
Ci aveva pensato?
(sorride) No, questo lato mi mancava; comunque una delle letture più interessanti è che nei nei loro film non ci sono parolacce, bestemmie, non toccano argomenti erotici né politici, quindi sono da sempre lontani da censure e polemiche, anche in Paesi estremisti. Ed è paradossale, perché di solito funzionano erotismo, violenza, parolacce…
Terence Hill lo sente?
Certo. Ed è grazie a lui se le autorità di Amelia hanno dedicato una piscina a mio padre.
Chi conosce Terence Hill lo descrive “ascetico”.
È molto religioso, vicino anche alle credenze naturalistiche; è un uomo timido, chiuso in se stesso, ma una persona piacevolissima; spesso racconta che una volta in scena con papà si trasformava e in qualche modo accadeva pure a mio padre. Tra loro scattava una magia, giocata pure solo sullo sguardo.
I rapporti tra i due?
Terence di una professionalità rara, studiava alla perfezione; papà arrivava sulla scena e un po’ improvvisava, rivendicava la spontaneità.
Spontaneo o pigro?
Anche pigro, non amava studiare, così come non amava allenarsi ai tempi del nuoto; anzi, da nuotatore fumava.
Suo padre è mai stato una montagna troppo alta da scalare?
Non mi sono mai posto l’obiettivo di scalare quella montagna. Fino all’adolescenza, per me e le mie sorelle, papà rappresentava una figura mitica; mentre dai 14 anni è diventato più umano.
Nello specifico.
Era un uomo dall’apparente semplicità, senza eccessi, non amava la visibilità, detestava farsi truccare sul set. Poi aveva quella voce calda che ci avvolgeva. In casa c’era una tradizione: chi vinceva a braccio di ferro diventava il capo famiglia.
E lei?
Non ci sono mai riuscito.
Da ragazzo suo padre ha composto brani anche per la Vanoni.
Il suo rammarico era quello di non aver studiato musica, ma aveva una grande istinto che lo portava a comporre; da giovanissimo, con alcuni amici, aveva messo su un gruppo, Gli assatanati del ritmo, e un giorno, mentre suonava a Roma, si presentò un giovane che gli fece ascoltare i suoi brani. Lo scartarono. “È un mondo difficile, non avrai spazio”. Era Domenico Modugno.
Frequentavate il mondo del cinema?
No. Papà e Terence non erano uomini da serate e feste.
Venivano snobbati?
I loro incassi davano un po’ fastidio.
Suo padre era stupito del successo?
Per l’entità, e poi non si prendeva molto sul serio, tanto da credere di non durare tanto, ma di smettere dopo Dio perdona.
I ragazzi come si rapportavano con il figlio di Bud Spencer?
Era un periodo strano, fortemente politicizzato, e alcuni mi evitavano perché definito ricco.
Suo padre era di destra.
No, un socialdemocratico. Apprezzava Silvio Berlusconi per quanto aveva realizzato pure nel cinema.
Bud Spencere aveva velleità da imprenditore.
Meglio definirle “follie”. O grandi idee senza la capacità o la possibilità di realizzarle.
Che idee?
Un ombrello-sedile. O lo spazzolino da denti con il dentifricio incorporato. Aggiungo un’automobile con dentro una ventina di batterie: alla prima salita si è fermata.
Un animo fanciullesco.
Quell’animo lo ha accompagnato fino all’ultimo giorno. Ed è il motivo per cui non riuscivo ad avere un dialogo con lui: rispetto a papà ero troppo vecchio già quando avevo 18 anni, mentre lui a 85 desiderava partire in tournée con una band.
Com’era andare in giro con Bud Spencer?
Ogni tanto pericoloso.
Addirittura.
Lo riconobbero all’aeroporto di Berlino e intorno a lui si ammassarono centinaia di persone, eppure nel frattempo scendeva dall’aereo Jack Nicholson, nell’indifferenza.
Pochi anni fa si è aperta la questione di una presunta figlia illegittima.
Argomento delicato, per mamma è stato un grande dispiacere; e l’atto giudiziario è arrivato nella ricorrenza della sua morte e in coincidenza con l’uscita di un libro…
Il film con Bud Spencer dove riconosce maggiormente suo padre.
In quasi tutti. Quando sosteneva di non essere un attore, non era snobberia; guardava ammirato i vari Manfredi o Sordi e ripeteva “loro sono bravi, io porto in scena quel che sono”.
Un aspetto di lui che non amava particolarmente.
Penso quando all’inizio dell’adolescenza mi disse “Prima di un padre, voglio essere tuo amico”. E risposi: “Tu sei papà, gli amici sono un’altra cosa”. Ecco, quella sua frase non l’ho mai capita.
Al contrario, cosa ha capito negli anni.
Nei suoi ultimi giorni ho scoperto che uno può essere grande, grosso, forte quando si vuole, ma alla fine si è tutti fragili. Anche lui.
Lui chi era?
Un uomo apparentemente semplice; un uomo affetto da una miopia esagerata: con gli occhiali era una persona, senza entrava in un suo mondo composto da tante esperienze, anche esoteriche.
Esoteriche?
Alla fine della sua carriera di nuotatore è andato in Sud America per cercare delle risposte sul suo futuro. Aveva paura del domani. E Bud Spencer era ancora lontano.