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 2024  dicembre 08 Domenica calendario

L’Emilia-Romagna, l’autonomia, non la vuole più

Sono ore frenetiche per Michele de Pascale: dopo la sbornia elettorale del trionfo alle regionali in Emilia Romagna, il successore in pectore di Stefano Bonaccini (l’insediamento è segnato sul calendario per venerdì) è al lavoro per limare gli ultimi incastri della sua giunta, che presenterà a giorni. E nella lunga lista di impegni non è mancata una telefonata con la premier Giorgia Meloni, per avviare subito quella «collaborazione istituzionale» con cui l’ormai ex sindaco di Ravenna aveva promesso di voler segnare un «cambio di passo» rispetto alle polemiche dei mesi scorsi tra governo e Regione. Giovedì, intanto, sarà ad Atreju, la festa di partito di Fratelli d’Italia: «Ci vado da rappresentante di un’istituzione, non da esponente di partito», precisa de Pascale. «E lo faccio per parlare di Autonomia: voglio convincere FdI che è un errore». 
Presidente, che vi siete detti con Meloni? Le ha ribadito la proposta di un «patto repubblicano» sul post-alluvione dopo gli scontri in campagna elettorale?
«A mio avviso il rapporto tra le istituzioni deve sempre essere ispirato al principio di leale collaborazione: è da qui che nasce l’idea del patto repubblicano. So già che ci saranno temi su cui tra noi e questo governo potrà esserci forte tensione, penso alla tutela della sanità pubblica su cui abbiamo visioni molto diverse. Ma nell’ultimo anno e mezzo l’Emilia Romagna ha vissuto la tragedia devastante dell’alluvione: su questo la leale collaborazione non basta. Davanti alle emergenze le istituzioni devono unirsi». 
Invece sono cominciati rimpalli e polemiche. 
«Si è creato un clima di scontro, una speculazione politica continua. È stato offerto un brutto spettacolo al Paese. Per questo è ora di dire basta: le elezioni sono passate, c’è chi ha vinto e chi ha perso. Non è un “vogliamoci bene”, piuttosto un “mettiamoci a lavorare insieme”. La presidente Meloni mi ha telefonato, speriamo di incastrare presto una data per vederci. Mi auguro che con questo spirito di squadra si possa realizzare il patto di cui parlavo».
Cosa chiederà al governo?
«Innanzitutto serve un investimento reciproco di fiducia. Non basta la nomina del commissario, le cui responsabilità sono convinto dovrebbero passare alla Regione. Bisogna sgomberare il campo dal timore di sgambetti reciproci. Poi le cose da fare sono molte: dalle risorse da stanziare per i piani speciali per la ricostruzione alla sburocratizzazione delle procedure per gli indennizzi. Innanzitutto però serve un cambio di approccio». 
Per questo parteciperà ad Atreju, per sancire la pace con la premier?
«Già da presidente dell’Unione delle province italiane mi è capitato di essere invitato a feste di altre forze politiche e sono sempre andato. Ad Atreju non vado da esponente Pd, ma da presidente della Regione Emilia, in veste istituzionale. Tanto più che il tema di cui discuteremo è l’Autonomia differenziata». 
Che in passato, prima della riforma Calderoli, era stata chiesta anche dall’Emilia. 
«Come Regione abbiamo preso una posizione chiara e diversa rispetto al passato. Non siamo contrari tanto al ddl Calderoli, ma allo strumento dell’Autonomia differenziata in sé: aumentare le funzioni legislative delle Regioni è sbagliato. Non ci serve un Paese con regole diverse da una Regione all’altra, semmai dovremmo avvicinarci tutti a uno standard comune europeo. Possiamo immaginare, nel 2024, di avere venti diversi piani energetici? Io credo di no. Forse quella parte del Titolo V della Costituzione è da rivedere».
Quindi per l’Emilia è stato un errore percorrere quella strada?
«Vado ad Atreju con l’obiettivo di far fare la stessa riflessione a FdI. Non do la colpa a loro, anzi: la mia è anche un’autocritica. Spero che, come l’Emilia Romagna ha cambiato idea, lo faccia anche il partito di Meloni. L’autonomia giusta su cui lavorare è il decentramento amministrativo a favore di comuni ed enti locali. Le leggi, invece, devono essere uguali per tutti. È su questo che voglio confrontarmi con Calderoli». 
E lo farà sul palco della festa di FdI, dove Schlein l’anno scorso ha scelto di non andare. A parti invertite, lei avrebbe invitato Meloni a una Festa dell’Unità?
«(Ride) Chiariamoci. Elly Schlein, che da segretaria del Pd è un’esponente politica, dice: il dialogo si fa innanzitutto in Parlamento, perché è quello il luogo deputato. E visto che nelle Aule non si vede tutta questa volontà di ascolto da parte del governo, non ha senso parlarsi alle feste di partito. È una posizione che condivido: vogliamo dialogare? Bene, cominciamo in Parlamento. Diverso è il caso di un’istituzione, come quella che io rappresento». 
Alleanze. Per il Pd che fatica a trovare una quadra con un M5S «progressista» ma «non di sinistra» l’Emilia può essere un modello?
«Difficile che lo sia: a livello locale è tutto più semplice. Temi decisivi come la politica estera ed europea da noi non sono entrati in gioco, ma sono i punti che Giuseppe Conte definisce dirimenti. Mi limito a elencare due condizioni per l’alleanza: rispetto reciproco di tutti i contraenti, perché non basta stare insieme ma bisogna essere credibili, e programma chiaro. Non si può tenere insieme tutto e il contrario di tutto, altrimenti si fa come la destra che una coalizione ce l’ha ma è divisa su tutto, e infatti governa male». 
Schlein dovrebbe essere più netta con Conte?
«Non è un dibattito nel quale voglio infilarmi, ho già le mie cose a cui pensare, in più nessuno può contestare alla segretaria Pd di non fare abbastanza sforzi. Sono solidale con lo sforzo di Elly Schlein di cercare di fare la coalizione più ampia possibile, ma appunto possibile. E questa disponibilità dev’esserci da parte di tutti».