la Repubblica, 8 dicembre 2024
David Quammen parla del nuovo virus in Congo
David Quammen, 76 anni, divulgatore scientifico e autore del capitale “Spillover, l’evoluzione delle pandemie” (Adelphi), che cosa sta succedendo in Congo? Che cos’è questa malattia misteriosa che ha già ucciso, e velocemente, decine di persone?
«Non lo sappiamo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità si sta recando in loco, nel sud-ovest del Paese. Anche i dati di vittime e infetti sono stati cambiati più volte. C’è molta incertezza e allarme allo stesso tempo. L’epidemiologa americana Anne Rimoin, grande esperta di cui mi fido molto, ha detto che non bisogna abbandonarsi al panico, almeno fino a quando non avremo più dati. Potrebbe essere un tipo di influenza, Ebola, Marburg, meningite, morbillo. Certo, malattie infettive gravi possono iniziare proprio così, ma allo stesso tempo focolai passeggeri, e che poi si esauriscono naturalmente, sonopiuttosto comuni in aree, soprattutto remote, come quelle del Congo. Perché le strutture sanitarie sono pressoché inesistenti e le persone sono molto più esposte, anche a virus e batteri in famiglia».
Qualcuno ha parlato di possibile virus respiratorio. È una ipotesi che la convince?
«Difficile dirlo. Ma tenderei ad escluderlo. Se fosse davvero una malattia respiratoria estremamente letale e contagiosa, si sarebbe concentrata inizialmente in un solo distretto della provincia del Kwango della Repubblica Democratica del Congo. Invece, a leggere il report dell’Oms, sono stati registrati casi in sette diverse aree, il che mi fa pensare che siamo di fronte a qualcosa di diverso. Ma ripeto, sono solo supposizioni le mie e non dobbiamo abbandonarci immediatamente a spiegazioni più catastrofiche, perché purtroppo di queste cose in Africa accadono, spesso sono di routine e non diventano pandemie. Certo è molto importante che se ne parli».
Il tasso di letalità però sembra molto alto, non trova?
«Vero. Ma abbiamo ancora pochi dati a disposizione. Per esempio, i contagiati sopravvissuti potrebbero essere molti di più del numero ufficiale noto sinora. E anche il fatto che paiono colpiti di più i bambini o gli adolescenti non è del tutto confermato. In tal caso, potrebbe trattarsi di una sovrastima statistica. O magari questa malattia davvero colpisce i più giovani per alcuni loro comportamenti o perché sono più esposti, a causa della loro scarsa immunità da precedenti infezioni. Vedremo».
Il fatto che questa misteriosa malattia sia stata individuata in una zona remota del Congo significa che potrà essere contenuta più facilmente, nel caso fosse fortemente contagiosa e con un’alta capacità di diffusione?
«È importante che vengano messe in pratica tutte le misure di controllo epidemiologico affinché la malattia non arrivi nelle città, dove sono più comuni condizioni indigenti in luoghi affollati. Lo abbiamo visto in passato con Ebola. Di solito, le nuove patologie o virus nascono proprio in campagna perché si è più a contatto con gli animali e gli “spillover” (ossia il passaggio di un virus da una specie animale all’altra o agli umani, ndr) sono più frequenti».
Ma, al di là di quello che potrebbe essere questa sconosciuta malattia in Congo, secondo lei il mondo, dopo la drammatica esperienza del Covid, è più addestrato oggi a prevenire eventuali pandemie?
«Secondo me, la consapevolezza di un nuovo rischio del genere è ancora molto bassa, insufficiente. Siamo ancora molto impreparati e molto divisi. Le persone che prima erano molto attente ad eventi simili e seguaci degli insegnamenti della scienza, oggi lo sono molto di più. Ma, allo stesso tempo, credo che coloro che già erano poco interessati in passato, oggi lo siano ancora meno. Sono stanchi del Covid. Sono stanchi di questi argomenti. E sono stanchi del solo pensiero di magari un giorno di dover rimettere le mascherine, o esser costretti a prendere altre misure per fermare la diffusione di malattie. Insomma, tutte queste persone, e anche molti leader politici, secondo me oggi hanno la tendenza a ignorare questo tipo di rischi ancor più di prima che il Covid irrompesse nelle nostre vite».
Tutto questo non è molto rassicurante.
«No, non lo è affatto. In futuro, saremo ancora esposti e vulnerabili. È una situazione davvero spiacevole, per usare un eufemismo».