la Repubblica, 8 dicembre 2024
Romania, perquisita la villa del re di Tik Tok
Sarebbe il “re di TikTok”, legato a circoli romeni dell’estrema destra e titolare di società informatiche che via Sudafrica portano dirette a Mosca, il regista interno dell’«attacco ibrido condotto da uno Stato straniero» che venerdì ha spinto la Corte costituzionale della Romania ad annullare le presidenziali, cancellando in extremis il ballottaggio di oggi.
La polizia, su ordine della Procura di Bucarest, si è presentata ieri nella villa e negli uffici di Bogdan Peschir a Brasov, città nel cuore della Transilvania. Ha perquisito tre edifici del misterioso programmatore informatico di 36 anni, ricco grazie al traffico di criptovalute. Secondo i documenti desecretati sarebbe lui, definito dai media l’“Elon Musk dei Carpazi”, il regista nazionale della rete allestita dal Cremlino per proiettare il filorusso Calin Georgescu alla guida del Paese. Obiettivo: demolire il sostegno romeno all’Ucraina invasa da Vladimir Putin, spaccando la Ue.
Computer e documenti sequestrati custodirebbero le prove del coinvolgimento di Peschir «nel finanziamento illecito della campagna elettorale di un candidato», oltre che «le tracce di somme frutto di reati, introdotte in un processo di riciclaggio». Attraverso la piattaforma Bogpr in un mese avrebbe veicolato oltre un milione di euro a un centinaio di influencer, attivi su TikTok, «per sostenere Georgescu in violazione alla legge elettorale».
Il piano prevedeva «la destabilizzazione del Paese, retrovia cruciale del conflitto ucraino e sede di tre basi Nato». In Romania esercito, servizisegreti e politica estera sono competenza del capo dello Stato, che partecipa ai vertici internazionali: di qui l’allarme rosso scattato in Europa e Usa. Tra i soci di Peschir c’è infatti il connazionale Gabriel Prodanescu, attivo in Sudafrica e vicino alla cerchia più stretta che risponde al presidente russo.
La polizia ha perquisito anche altri edifici a Bucarest, Ilfov, Timis, Maramures, Salas e Neamt. Un altro filone d’inchiesta punta agli archivi di gruppi d’estrema destra che custodiscono la «propaganda fascista, razzista, xenofoba, di incitamento all’odio e alla discriminazione»: ci sarebbero loro dietro l’exploit di Georgescu. Il candidato filorusso e anti-Ue ha sempre dichiarato di aver trionfato al primo turno «a costo zero». Ora è accusato anche di aver violato la legge sul finanziamento delle campagne elettorali.
In un’intervista a Sky News, Georgescu ha rilanciato ieri le accuse di “golpe”, negando sia legami con Mosca che sostegni esteri. «Ufficiali Nato e Ue – ha detto – si sono riuniti per chiedere all’establishment del Paese di bloccarmi perché loro hanno bisogno della guerra in Ucraina. Stavo programmando una conferenza di pace a Bucarest con Trump, Putin e Zelensky, ma la Corte costituzionale si è confermata la dittatura mafiosa di uno Stato corrotto».
Anche il figlio del rieletto presidente Usa, Donald Jr, ha attaccato i giudici romeni definendo l’annullamento del voto «un nuovo tentativo di truccare le elezioni». Poco prima il dipartimento di Stato Usa aveva al contrario difeso le autorità di Bucarest, condannando le «cattive influenze straniere». Posizione condivisa dalla presidente della Commissione Ue. «Continueremo a lavorare – ha assicurato Ursula von der Leyen in una telefonata al presidente Klaus Iohannis – perché le piattaforme rispettino le leggi elettorali in Europa. Spetta al popolo romeno scegliere, senza interferenze straniere».
A caldo l’accusa di “golpe” contro i giudici costituzionali era stata mossa pure da Elena Lasconi, leader moderata filo-Ue che si è vista negare il ballottaggio. Per questo la Consulta, criticata pure da politologi romeni di orientamento diverso, ha ora bisogno che la magistratura pubblichi al più presto le prove delle «ingerenze straniere»: ieri ha spiegato che dietro il clamoroso stop ci sono, come prevede la Costituzione, «frodi tali da modificare l’assegnazione del mandato presidenziale e l’ordine dei candidati che avrebbero potuto partecipare al secondo turno elettorale»”. L’annullamento non è stato imposto entro tre giorni dal voto, come previsto dalla legge, «“per non interferire nelle legislative del primo dicembre».
Difficile però, con un presidente e un premier in carica solo per l’ordinaria amministrazione, porre fine al caos politico in cui è precipitato il Paese. Le legislative del’1° dicembre, rovesciando l’esito del primo turno delle presidenziali, hanno visto la riscossa dei partiti pro-Ue. Guidati dai socialdemocratici hanno conquistato il 68%, contro il 32 dell’estrema destra. In caso di un rapido “accordo d’unità nazionale”, l’agenda prevede l’insediamento del nuovo Parlamento il 21 dicembre, la nomina del premier il 24 e la fiducia al nuovo governo il 28. Le presidenziali si svolgerebbero tra fine marzo e metà aprile. Pesa una grande incognita: la reazione dei romeni, ancora sotto shock. Finora nessuno è sceso in piazza. Il Paese però è spaventato e diviso: presto la calma apparente potrebbe finire.