Avvenire, 11 dicembre 2024
Trecento raid sulla Siria per evitare che le armi cadano in mani ostili
Erano scaturite probabilmente dalla portata massiccia dell’offensiva aerea le voci di un’avanzata dell’esercito israeliano su Damasco. Del resto, le pendici del monte Hermon sul Golan, dove lunedì le truppe con la stella di David hanno sconfinato nella zona cuscinetto sorvegliata dall’Onu, si trovano ad appena una quarantina di chilometri dalla capitale. E le Forze di difesa israeliane (Idf) ieri si sono spinte fino a 14 chilometri in profondità sul suolo siriano, ha riferito l’israelianoChannel 12. Le Forze di difesa hanno seccamente smentito di avere l’intenzione di muovere su Damasco. Dal cielo l’aviazione ha colpito duro, su obiettivi militari, infrastrutture strategiche e depositi di armamenti che Israele teme possano cadere nelle mani di elementi ostili. L’esercito stima di aver» distrutto più del 70% delle capacità militari strategiche dell’ex regime di Assad». L’Osservatorio siriano per i diritti umani, espressione degli oppositori al deposto regime, con sede a Londra, ha registrato oltre cento raid in una giornata, che diventano più di 320 da domenica. Nel mirino anche il centro di ricerca scientifica di Barzeh, a Damasco. Già bersaglio nel 2018 dei raid americani, francesi e britannici, sarebbe legato alla sospetta produzione e stoccaggio di armi chimiche di Assad. Gli Stati Uniti, ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, «sono preoccupati per la presenza e il potenziale uso di armi chimiche». L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Geir Pedersen, ha chiesto la fine dei raid.
Come fa notare lo stesso Osservatorio, «il piano di Israele è che la nuova Siria abbia a disposizione solo armi semplici». Tel Aviv «ha distrutto e sta distruggendo ogni capacità militare presente e futura delle forze armate siriane». Fonti militari hanno confermato attacchi missilistici contro la flotta navale nella baia di Minet el-Beida e nel porto di Latakia, città dove ha sede una base dell’aviazione russa. Il ministro della Difesa Israel Katz ha rivendicato la distruzione della flotta siriana «per eliminare capacità strategiche che minacciano lo Stato di Israele». E ha ribadito che l’esercito sta creando una zona demilitarizzata in territorio siriano, oltre la zona cuscinetto, la cosiddetta Linea Alpha. Una mossa che ricorda la “messa in sicurezza” avvenuta nel sud del Libano, oltre la Linea Blu sorvegliata dall’Onu. Questa volta in chiave preventiva. Katz ha parlato di una «zona difensiva» nel sud della Siria, senza una presenza israeliana permanente, che servirà a prevenire minacce.
Un funzionario diplomatico ha rivelato al sito Ynet che Israele ha tre obiettivi: occupare i territori (da 500 metri a pochi chilometri) che consentono il controllo del fuoco e delle vedette; prevenire l’ingresso di armi strategiche, comprese quelle chimiche; proteggere le minoranze, come chiedono le diplomazie internazionali. Alla televisione Kan, un alto funzionario ha detto: «Se il nuovo governo agirà contro Israele o permetterà all’Iran di ristabilirsi in Siria, noi attaccheremo con forza e determinazione». La longa manus di Tel Aviv sulla Siria ha provocato l’alzata di scudi di Ankara. Il ministero degli Esteri turco ha condannato l’avanzata nella zona cuscinetto del Golan denunciando che «Israele mostra ancora una volta la sua mentalità di occupazione». Reazione simile da Teheran, che ha criticato il «silenzio dei Paesi occidentali» sulle «violazioni delle leggi internazionali» da parte di Tel Aviv.
Del resto, lunedì Netanyahu l’aveva ripetuto: l’obiettivo è ridisegnare il Medio Oriente. «Il collasso del regime siriano è stato un diretto risultato dei colpi severi che abbiamo assestato a Hamas, Hezbollah e Iran. Abbiamo lavorato in maniera metodica e prudente per smantellare l’asse del male». Quanto al futuro, aveva annunciato: «Vogliamo vedere una Siria diversa. La nostra mano è tesa a chi vuole vivere in pace con noi, ma taglieremo la mano di chi vorrà farci del male