il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2024
Tre anni di scontri tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte
L’avvocato aveva già dovuto lasciare Palazzo Chigi, il 26 gennaio 2021. Impossibile evitare le trappole di Matteo Renzi, l’uomo che voleva far fallire governi: e inutile sperare nell’aiuto di parlamentari che “responsabili” non potevano esserlo. Al suo posto arrivò Mario Draghi, un altro con cui avrebbe litigato, anche per interposto Grillo. A occhio però Giuseppe Conte non immaginava la catena di guai e botole che si sarebbe ritrovato davanti nei successivi tre anni, anche solo da leader in pectoredei 5 Stelle.
28 febbraio 2021.
Beppe Grillo arriva con un casco da astronauta all’Hotel Forum, la sua consueta base romana. Assieme a tutti i maggiorenti del M5S – tranne Davide Casaleggio, polemicamente assente – incontra Conte sulla terrazza dell’albergo per chiedergli di prendere la guida dei 5Stelle. L’avvocato chiede poteri da leader, pieni. E si prende qualche settimana per decidere. Luigi Di Maio solleva riserve. Ma poche ore dopo celebra: “Conte ha accettato di elaborare un progetto rifondativo”.
1-5 giugno 2021.
Casaleggio è da mesi in rotta col M5S. Conte “trasferisce” le votazioni online su Skyvote e chiede alla piattaforma Rousseau l’archivio dei dati degli iscritti al Movimento. Ma Casaleggio rivendica la paternità di quei dati e pretende mezzo milione di euro di mancati versamenti dagli eletti. Dopo settimane di controversie e di carte bollate, il Garante della Privacy dà ragione a Conte: Rousseau deve fornire il proprio archivio al M5S. Conte chiude ogni rapporto con il figlio di Gianroberto e trova un accordo economico, sembra pari a 300 mila euro. Casaleggio lascia il Movimento.
26 giugno 2021.
Conte conferma di voler diventare il nuovo leader. Lui e Grillo si scambiano email sul nuovo statuto, a cui lavora l’ex premier. Ma il fondatore ritiene che Conte si voglia attribuire troppi poteri. E sul suo blog esplode: “Conte non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non possiamo lasciare che un movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata si trasformi in un partito uni-personale governato da uno statuto seicentesco”.
28 giugno 2021.
Conte tiene una conferenza stampa al Tempio di Adriano, a Roma. Medita una sua lista personale, qualche fedelissimo gira a Montecitorio con l’elenco dei parlamentari che vi entreranno. Lui al microfono spiega: “Domani consegnerò il nuovo statuto a Grillo e Vito Crimi (il reggente, ndr) perché sia diffuso tra gli iscritti. Affinché io continui, serve un punto fermo. Non ci può essere una leadership dimezzata o un leader ombra affiancato da un prestanome”.
30 giugno 2021.
Grillo indice su Rousseau l’elezione di un comitato direttivo per guidare il M5S. La rottura sembra definitiva. Tre giorni dopo, Di Maio e Roberto Fico incontrano Grillo nella sua villa in Toscana per convincerlo a una tregua con Conte. Il fondatore accetta, e in una nota serale – dove non nomina l’ex premier – annuncia un comitato di sette esponenti del M5S che lavori a modifiche dello Statuto e della carta dei valori “in linea con principi e valori della nostra comunità”.
9 luglio 2021.
Draghi vuole cancellare la riforma della prescrizione dell’ex Guardasigilli, il 5Stelle Alfonso Bonafede, con la “controriforma” Cartabia. Conte e il Movimento insorgono: almeno tre ministri su quattro del M5S, guidati dal capo delegazione di governo Stefano Patuanelli, vogliono astenersi in Cdm. Draghi pretende il loro sì, mentre chiama Grillo per spingerlo a intervenire sui suoi. Così il fondatore telefona ai ministri per convincerli (per l’ira di Conte). Dopo una durissima trattativa, il M5S vota sì, però dopo aver ottenuto tempi più lunghi perché maturi la prescrizione in appello e in terzo grado per alcuni reati gravi, come l’associazione a delinquere semplice di tipo mafioso, il traffico di stupefacenti, la violenza sessuale e gli illeciti contro la Pubblica amministrazione, con tutte le sfumature della corruzione
15 luglio 2021.
Grillo e Conte siglano la pace (armata) a pranzo, mangiando pesce a Marina di Bibbona. “E ora pensiamo al 2050”, scrive su Facebook il fondatore, sotto a una foto che li ritrae sorridenti.
3-6 agosto 2021.
Gli iscritti approvano il nuovo statuto. Conte viene eletto presidente del M5S con il 92,8 per cento dei voti.
Gennaio – 1 febbraio 2022.
Si vota per il Quirinale. Conte vorrebbe far eleggere come presidente Elisabetta Belloni, direttrice del Dis (che coordina i Servizi segreti). Di Maio invece sostiene Draghi, e si frappone: “Profilo autorevole, ma non spacchiamo la maggioranza”. Anche il segretario dem Enrico Letta, dopo un’iniziale apertura, si sfila. Alla fine verrà rieletto Sergio Mattarella.
7 febbraio 2022.
Su ricorso di alcuni attivisti, il Tribunale di Napoli sospende la validità dello statuto per “gravi vizi nel processo decisionale”, tra cui l’esclusione dal voto degli iscritti da meno di sei mesi.
30 marzo 2022.
Il premier Draghi, d’accordo col ministro della Difesa Guerini, vuole dare il via libera all’invio di armi all’Ucraina e contestualmente programmare nel Def l’aumento delle spese militari al 2 per cento del Pil entro il 2024. Si tratta di aumenti da circa 13 miliardi l’anno. Conte si impunta: va bene l’aumento, ma solo se dilazionato fino al 2030. Di Maio sta con l’ex presidente della Bce, e lo fa trapelare: “L a posizione di Conte sulle armi è inaccettabile”. L’avvocato però tira dritto. Incontra Draghi a Palazzo Chigi e il premier minaccia: “Così viene meno la maggioranza”. Draghi forza e sale pure al Quirinale. Alla fine si arriva alla mediazione: l’aumento al 2 per cento è programmato per il 2028.
18-19 giugno 2022.
Lo scontro tra Conte e Di Maio deflagra, e la miccia sono ancora le armi. L’ex ministro si schiera contro una risoluzione di alcuni senatori del Movimento, che chiedono lo stop all’invio di altri armamenti all’Ucraina. “Così si mette a rischio la sicurezza dell’Italia”. Il M5S riunisce d’urgenza il Consiglio nazionale. “Ormai Luigi è un corpo estraneo al Movimento” accusano i vicepresidenti contiani Michele Gubitosa e Riccardo Ricciardi.
21 giugno 2022.
Dieci senatori e 51 deputati lasciano il Movimento e aderiscono a Insieme per il Futuro (poi Impegno Civico), il nuovo gruppo di Di Maio. Per numeri è la più grande scissione politica del dopoguerra. “Dovevamo scegliere da quale parte della storia stare, è irresponsabile picconare il governo Draghi per qualche punto di consenso”, teorizza il ministro degli Esteri. Di Maio vuole affossare i 5S e rinforzare Draghi, che invece cadrà dopo un mese.
29 giugno 2022.
Domenico De Masi racconta al Fatto ciò che Grillo ha riferito a lui e ai gruppi parlamentari poche ore prima: da tempo Draghi non sopporta Conte, al punto che ha chiesto al Garante, con cui si sente di frequente, di rimuovere l’avvocato dalla guida del M5S.
13 luglio 2022.
Il Tribunale di Napoli rigetta definitivamente i ricorsi degli attivisti contro lo statuto e la nomina di Conte a leader, già respinti un mese prima.
20 luglio 2022.
Conte ha appena consegnato a Draghi un documento in nove punti programmatici (inclusi difesa del Rdc e del Superbonus) per un “tagliando” all’azione del governo. In Senato, Draghi non apre a nessuno dei punti chiesti dal M5S. Ma anche la destra vuole rompere, tanto che la Lega dichiara che voterà la fiducia solo se i 5S usciranno dalla maggioranza. Risultato: Draghi ottiene la maggioranza relativa in Senato senza i voti di 5S, Lega e FI. Il giorno dopo si dimette.
21 luglio 2022.
Letta chiude ai 5Stelle in vista delle Politiche: “Impossibile un’alleanza con chi ha fatto cadere Draghi”. Il Pd invece accoglie nelle sue liste Di Maio e pure altri fuoriusciti dal M5S, come l’ex capogruppo Davide Crippa (candidato ma non rieletto), il quale se ne era andato insieme all’ex ministro Federico D’Incà. La destra farà incetta di collegi uninominali.
9 giugno 2024.
Alle Europee il M5S crolla sotto al 10 per cento. Conte ipotizza un’assemblea costituente per rimettere in gioco tutto: nome, simbolo, regole interne, leadership. Grillo non ci sta, fiuta il pericolo e scrive all’ex premier proponendo un tavolo tra i big per discuterne in via riservata. Ma Conte ha deciso: niente caminetti, voterà la base.
15 settembre 2024.
Grillo scrive una pec a Conte intimandogli di non sottoporre alla base alcuni temi chiave, come i due mandati o il ruolo del Garante. Conte conferma il processo costituente e gli fa presente che il sabotaggio all’assemblea sta facendo venir meno i presupposti del suo contratto da 300 mila euro col M5S. Grillo sbotta con le agenzie, definendosi “sotto ricatto”.
24 novembre 2024.
Si chiudono le votazioni della costituente M5S: il quorum è raggiunto, gli iscritti decidono a larga maggioranza di cambiare la regola dei due mandati, di legittimare un’identità “progressista” disponibile ad alleanze, e soprattutto di cestinare la figura del Garante. Grillo non ci sta e, come da sue prerogative, chiede la ripetizione del voto sui quesiti che modificano lo Statuto, compresi quindi quelli che lo riguardano.
8 dicembre 2024.
Chiamati a votare una seconda volta, gli iscritti 5Stelle ribadiscono di voler eliminare la figura del Garante. Nonostante l’invito di Grillo e dei suoi di “andare a funghi”, l’affluenza è persino maggiore della prima consultazione, crescendo dal 61 al 65 per cento.