il Giornale, 11 dicembre 2024
Feltri elogia il libro di Travaglio, e dice che in Ucraina ci vorrebbe la pace
Ho appena chiuso e abbandonato sul bracciolo della poltrona il libro di Marco Travaglio intitolato Ucraina, Russia e Nato in poche parole (PaperFirst, pagine 250, euro 16), quando mi imbatto in una notizia apparentemente futile rispetto allo spaventoso eccidio che sta dietro quelle «poche parole». Eccola: «La prima assoluta de La Forza del Destino di Giuseppe Verdi si celebrò al Teatro Imperiale di San Pietroburgo il 10 novembre del 1862, diretta dal maestro Eduardo Baveri». Questa scheggia di storia è buttata lì nelle pagine di cultura e nelle presentazioni televisive a margine delle cronache per la prima della medesima opera alla Scala lo scorso 7 dicembre.
Questa immagine di un passato in cui la musica e in generale l’arte italiana impregnavano la Russia (in particolare quella architettonica era debitrice a Bergamo, grazie a Giacomo Quarenghi) l’ho vissuta come un pizzicotto sulla guancia e mi ha suscitato stupore e qualche domanda. Come è stato possibile che si sia stati così stupidi, soprattutto noi europei, da consentire di perdere la Russia, la nostra sorella spaiata, regalandola all’Oriente, e in particolare alla Cina? Certo, Putin ha dimostrato di essere un lupo cattivo, ma era uno del nostro branco: Mosca aveva nella forza del suo destino, per restare al melodramma del maestro di Busseto, di essere la Terza Roma, non la Seconda Pechino. Ancora. Siamo sicuri di essere innocenti davanti alle sciagurate scelte guerresche del nuovo Zar? I russi nei secoli hanno sempre visto il nemico arrivare da Est, con i volti asiatici dei mongoli. Perché spingerli a puntare i missili contro di noi? (L’Urss non era la Russia, è stata una parentesi atroce e ideologica in una storia millenaria, che l’ha fatta essere il secondo polmone di un’Europa che va dall’Atlantico agli Urali).
Chiunque abbia anche una briciola di onestà intellettuale, e un minimo senso della giustizia, non può che condannare l’invasione russa dell’Ucraina. Ovvio. Ma chi ha una briciola di ponderazione storica non può divergere dal giudizio di papa Francesco che, come i suoi predecessori a partite da Benedetto XV (1917), considera quanto sta accadendo una «inutile strage». Queste due evidenze le si ritrova nel volume di Marco Travaglio, il quale definisce Vladimir un «criminale di guerra», e a proposito della mattanza propone un paragrafo dal titolo «Vittime» restituendo ai numeri la potenza di significare non una statistica ma corpi lacerati di persone, le quali non sono meno tali se in divisa da soldati. «Sia Mosca sia Kiev attribuiscono oltre mezzo milione di caduti, esagerandoli, e poche decine di migliaia al proprio, minimizzandoli. Il Wall Street Journal, dopo due anni e mezzo, ha ipotizzato più di un milione di vittime tra morti e feriti» (pag. 229).
Che cosa ha indotto a liquidare il libro di Travaglio come filo-putiniano? L’intento polemico del direttore de Il Fatto quotidiano, che egli palesa sin dall’introduzione, con la ripetizione ossessiva all’esordio di ogni periodo di tre parole: «Ci hanno raccontato». Cui segue l’illustrazione di 43 balle, spacciate al popolo come oro colato dal coro filoamericano. Lui prova a smentirle una per una. La sua penna è un cannone che tira palle incatenate contro lo spirito guerrafondaio della Nato, soprattutto dei Paesi anglosassoni e della Francia, non lesinando resoconti beffardi delle idiozie propalate dai quotidiani.
Insomma, Putin è sì un crudele filibustiere – proclama il verbo travagliesco – e lo si sapeva. Ma Bush e Obama prima e ora Biden, con Stoltenberg, Macron e Zelensky, hanno fatto di tutto per scatenare la furia di Vladimir «abbaiandogli» (papa Francesco) sull’uscio, manipolando in chiave anti-russa il corso della vita politica ucraina con sommosse di piazza (vedi Maidan nel 2014). E nel momento in cui si potevano trovare soluzioni accettabili per tutti, si è quasi invocata la reazione armata scatenando un conflitto tra Russia e l’Ucraina, la quale combatte per procura della Nato, con il risultato di gettare le giovani generazioni di entrambi i Paesi come paglia in un falò.
Era chiaro sin dall’inizio che la Russia, dotata di un arsenale di missili nucleari spaventoso, fosse destinata a vincere. E allora perché l’America ha voluto questo grandguignol trainando nella bolgia un’Europa servile? Travaglio lo chiede. E si risponde: per tornare a disegnare un ordine mondiale dove l’Europa, privata dell’energia a buon prezzo di Mosca e senza più la possibilità di vendervi i propri prodotti, si sarebbe ritrovata colonia di Washington senza chance di riscatto.
Di certo Travaglio usa la tastiera come una mitraglia. Dotato di una prosa irrorata da inventiva ironica e spesso da sarcasmo feroce, non fa prigionieri. Gli viene facile ad esempio ridicolizzare la serietà da Ridolini con cui i grandi giornali e i tg si sono bevuti le molteplici invenzioni sulla salute di Putin, dotato di cancro, di Alzheimer, di sosia, un paio di volte sospettato di essere già morto, eccetera; e poi le ripetute, irresistibili e alquanto fantasiose avanzate delle truppe ucraine.
Alla fine la morale è più o meno la stessa di papa Bergoglio a cui mi associo: non bisogna credere spiegò Francesco all’inizio del conflitto – alla favola di Cappuccetto Rosso. Non c’è un lupo cattivo, sono tanti: ed è bene che i popoli mettano la museruola a tutti i leader guerreschi. E bisogna finirla con la guerra, accettando quel che si sapeva sin dall’inizio, e cioè che le zone orientali dell’Ucraina sono, per storia e lingua, di pertinenza russa; se ne prenda atto. Non esiste una guerra giusta, con le armi oggi in campo; per cui non esiste neppure una «pace giusta». Chi la stabilisce, quale tribunale? Esiste solo la pace necessaria, o almeno la quasi-pace. La si faccia, in attesa di quella eterna.