La Stampa, 11 dicembre 2024
Biografia di Antonino Cannavacciuolo
«La vita è come il buon vino: migliora ogni anno che passa – dice Antonino Cannavacciuolo, se gli fai notare che sono ormai 10 anni che è a Masterchef -. Anche il programma: ogni anno recuperi gli errori e perfezioni le cose già buone». Quanto a lui, se si guarda indietro, «vedo l’importanza della famiglia, la mia dolce metà e i miei due figli: finché non c’erano, il mio lavoro era un gioco da vivere alla giornata. Con loro ho iniziato a pensare al futuro, a cosa lasciare in eredità alle generazioni future». È un abbinamento che gli viene spontaneo: matrimonio e Masterchef quasi coincidono, per non dire che gli imminenti 50 sono un traguardo che induce alla riflessione. Masterchef torna da domani su Sky (e in streaming su Now) e ci accompagnerà fin oltre Capodanno. Con Giorgio Locatelli e Bruno Barbieri lo chef partenopeo è parte della “sacra triade” dei giudici.
"Masterchef” è una tradizione, se non un rito. Eppure promettete sorprese. Quali?
«Ormai arrivano concorrenti letteralmente cresciuti con il cooking show, sanno tutto del programma e di noi. Così gli autori si sono divertiti a renderlo più spigoloso e motivante, inserendo elementi destabilizzanti. Lo vedrete fin dalle selezioni: c’è una spia infiltrata tra i concorrenti. C’è l’"all-in” con cui gli aspiranti chef si giocano il tutto per tutto per avere 5 minuti in più nella preparazione del loro piatto. La contropartita è dover ricevere tre sì: in questo caso passeranno direttamente se no verranno eliminati. Per chi non azzarda, e riceve un no, è previsto un “blind test”. E via così. Mi viene ancora da ridere se ripenso alle loro facce stupite».
E per voi?
«Anche per noi il cambiamento è vitale: spinge ad andare oltre e motiva. Masterchef è innovazione. Apre orizzonti. Mi ha fatto scoprire cibi e abbinamenti – che vengano dai grandi chef internazionali nostri ospiti, o dai concorrenti più giovani – che ho poi introdotto nelle mie cucine, come l’aceto di kombucha o il riso zizania».
Cosa la fa arrabbiare di più nei concorrenti?
«Che portino piatti fotocopia che non gli corrispondono per nulla, di cui non sanno nulla, la scena muta se gli chiedi lumi. In ogni piatto deve esserci il racconto della persona che lo prepara, le fotocopie non sanno di niente. E se hai grande tecnica ma niente cuore, non vai lontano. Io per esempio: il posto da cui vengo, la mia famiglia, avere un padre del mestiere, aver partecipato a tante “olimpiadi” culinarie, mi hanno ispirato».
Lei, Locatelli e Barbieri mostrate grande affiatamento, anche se non è stato sempre così nel programma, vero?
«Siamo molto diversi, ma tra noi è nata una bella sinergia fatta di rispetto, linee mai superate, equilibrio tra caratteri. Storie e formazione sono diverse, ma si sono incontrate. Anche fuori da Masterchef continuiamo a vederci e sentirci. E non solo per lavoro»
Il lavoro dello chef è faticoso anche fisicamente. Cosa fa per tenersi in forma ?
«Premesso che non credo e detesto le diete, sono per una autodisciplina alimentare che mi ha fatto perdere non pochi chili. Passato a cibi più leggeri e delicati, applico il detto “la colazione è per te e per volerti bene; il pranzo da condividere con un amico; la cena da lasciare al nemico"».
Ovvero?
«Prima non facevo colazione, così mi trovavo per tutta la giornata in una specie di eterno debito calorico. Ora è diventa il pasto su cui appoggio la giornata. E alla sera, poi, divieto di abbuffo: la lasagna è buona ma poi la paghi. Certo, con il nostro lavoro, le eccezioni capitano, ma così le controllo».
Praticamente?
«Mangio solo salato – uova, salmone, tacchino – avocado e altra frutta. E in apertura una tisana fatta di acqua tiepida e limone: depurante»
Figlio d’arte, cosa ricorda della sua infanzia alimentare?
«Mia madre che preparava un piatto e quello dovevi mangiare. Se non lo facevi, te lo ritrovavi davanti (freddo) la sera o il giorno dopo. Ricordo che andavo nell’orto per sfamarmi di nascosto ma alla fine cedevo».
I suoi incubi peggiori?
«Le fave (che ora invece amo) e la pasta coi broccoli: una condanna vera».
Originario di Vico Equense, ha messo radici in Piemonte. Quanto deve a questi luoghi?
«(enumera sottovoce) Villa Crespi, il Bistrot, il Laboratorio Artigianale, Laqua by the Lake, le Cattedrali di Asti, il Banco... Vengo da una regione che ha il fuoco sotto, bagnata dal mare e scaldata dal sole, i cui sapori mi accompagnano sempre. Poi sono arrivato in Piemonte, territorio di grandi ingredienti e imprenditori con una visione del business agro-alimentare, il vino, il tartufo... Mescolare queste due terre ha determinato chi sono e quello che faccio».
Anche lei ha avuto un momento “all-in”?
«Quando ho aperto Villa Crespi, e poi tutte le volte che ho scommesso su un’idea, un progetto. Ricordo la paura di non riuscire, l’ansia, la responsabilità. Ma anche la sfida da combattere, la voglia di crescere».
Una puntata sarà dedicata a Gualtiero Marchesi, il padre della cucina italiana. Che ricordo ha di lui?
«Avevo poco più di 18 anni, quando mangiai nel suo ristorante: se ci ripenso, provo ancora oggi la stessa emozione di allora. Neanche quando incontrai Maradona l’impatto era stato così forte. Quella che Masterchef gli ha dedicato è stata una puntata rivelatrice: di nessuno è rimasto un ricordo così indelebile. Ha reso internazionale la cucina italiana. Ha cambiato le carte in tavola. Gli siamo tutti figli. Rifatte oggi, 30 anni dopo, le sue ricette sono ancora innovative e attuali, e ancora ispirano».