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 2024  dicembre 11 Mercoledì calendario

Biografia di Francesco Farioli

Francesco Farioli per la prima volta sfiderà un’italiana. La Lazio, domani: «Una volta tanto, capirò ciò che si dice sull’altra panchina». Lui sta seduto su quella che fu di Cruijff e Michels: «C’è così tanto da fare, qui, che non riesco a godermi il privilegio». Questa è la storia di un ragazzo che a 18 anni voleva fondare un partito e a 35 deve ricostruire un club devastato dalla crisi tecnica ed economica: «Stiamo ancora rimuovendo le macerie e nel frattempo gettiamo le nuove fondamenta».
Com’è la storia del partito?
«Mi interessavano cosa pubblica e bene comune e non mi faceva dormire il pensiero che l’Italia non mostrasse il suo volto migliore. Fondare un partito di persone perbene era il mio sogno, forse la mia utopia, ma al massimo mi proposero dei compromessi».
È cocciuto?
«Sono coerente ma so cambiare idea. Uso la metafora del fiume: sa che deve arrivare al mare, trovando deviazioni. Le idee evolvono, assumono sfumature diverse: spesso ne ho abbracciate di opposte a quelle da cui ero partito».
Breve riassunto: giovane portiere dilettante, a 21 anni entra nello staff di De Zerbi, poi sceglie di mettersi in proprio partendo dalla Turchia. Perché da laggiù?
«In Italia mancava lo spazio, sono andato a cercarlo dove ce n’era. All’inizio fare il globetrotter è stata una necessità, adesso è una scelta. Ho lavorato in quattro nazioni con quattro culture e quattro lingue diverse: quando sarà il momento di tornare, porterò con me un tesoro».
Le ambizioni politiche le ha messe da parte?
«L’idea di partito l’ho trasferita nel mio staff di persone affini ma complementari con i miei limiti: ci sono due spagnoli, un italiano, un inglese, un turco e un finlandese».
Si può fare politica dalla panchina?
«Io ragiono come se in un posto stessi per sempre, anche se per sempre non sarà. Avrei fatto lo stesso in politica, diciamo che è un approccio poco populista. Non vivo con l’incubo dell’esonero, ho fatto battaglie per ridipingere gli spogliatoi, far assumere un nutrizionista, che arricchirà il club anche quando non ci sarò più e non per avere l’ala che magari mi avrebbe fatto vincere l’ultima partita. L’obiettivo è lasciare il posto di lavoro migliore di come l’ho trovato. E so sistemare casini».
L’ha imparato laureandosi in filosofia?
«Volevo fare ingegneria aerospaziale, ma al liceo faticai nelle materie scientifiche mentre mi affascinò una professoressa che aveva un modo di insegnare unico, contagioso, come ne L’ora di lezione di Recalcati. Avrei voluto la sua stessa capacità di far maturare dentro le persone un’opportunità per pensare. A 18 anni non sapevo più cosa avrei fatto da grande, così scelsi studi che mi facessero crescere. Da Filosofia, gli sbocchi lavorativi erano due: o l’insegnamento o le risorse umane, da allenatore ho riunito le due cose».
“Allenatore filosofo” è una presa in giro?
«Quello vuole fare il filosofo non è mai una frase simpatica, ma io sono solo uno a cui piace farsi domande sapendo che non tutte hanno una risposta. Sono molto pratico: citando Platone, devi portare il mondo delle idee nel mondo delle cose».
La sua tesi è sull’estetica del calcio e il ruolo del portiere: qual è il calcio che le fa battere il cuore?
«Mi esalto se segniamo dopo 60 passaggi di fila, e mi è successo, ma pure se c’è da chiudersi in area a soffrire. L’estetica del calcio è anche in attimi per certi versi eroici».
E il portiere?
«In genere è visto come un’isola, ma per me è un giocatore in più».
L’Ajax è storia ed estetica.
«Nonostante i problemi, questa società è la mia scarpa perfetta, la sua cultura mi rappresenta molto e al tempo stesso c’è da metterci cose che non sono nel suo Dna, come trovare piacere nella sofferenza o accettare di non essere per forza i più belli».
Serve un tocco di italianismo?
«Qui entriamo nel campo degli stereotipi. Sono malato di tattica? Sì. Speculatore? No. La definizione di italianista mi sfugge. E penso al ruolo con una visione un po’ più ampia».
Vale a dire?
«Prima andavo ai colloqui e per il 95% parlavo di tattica e metodologie di allenamento, oggi mi rendo conto di quanto importante sia la gestione delle risorse umane. L’allenatore è l’ingranaggio centrale, collega giocatori, personale, dirigenti e rappresenta il club davanti ai tifosi: è un facilitatore di processi, deve centralizzare le informazioni e delegare le competenze».
Quando cominciò, dove riusciva a immaginarsi?
«Se mi avessero detto che avrei allenato l’Ajax avrei riso, ma che ne avrei allenato i portieri ci avrei creduto. Non potrò sempre bruciare le tappe, ci saranno passaggi a vuoto, so dov’è il mare, ma non quale mare sarà. Ho una certa simpatia per le situazioni incasinate».
E fra cinque anni dove si vede?
«Sono un appassionato della vita, chissà se farò lo stesso mestiere».