la Repubblica, 11 dicembre 2024
Analfabeti funzionali
Poco più di un decennio fa, Tullio De Mauro, uno dei maggiori linguisti che il nostro paese abbia avuto, trovava incomprensibile e inaccettabile la scarsa attenzione prestata dai media ai dati – sconfortanti già allora – sulla dealfabetizzazione degli adulti. Dovrebbe esserci un costante allarme, diceva, ma non c’è. Le cifre emerse dall’ultimo report Ocse sulle competenze degli adulti non mostrano inversioni di tendenza: Italia al quartultimo posto, i 55-64enni con valori più bassi dei 16-24enni; un terzo degli adulti risulta analfabeta funzionale.
Un’emergenza sociale che non sembra agitare più di tanto la classe politica, né turbarne i sonni: e invece un cittadino che fatica a leggere un testo di media complessità (un articolo come questo) è un cittadino che non gode appieno dei propri diritti e forse nemmeno lo sa. Rischia di restare e spesso resta al margine della partecipazione alla vita democratica; si espone senza quasi difese a chi intende schiacciarlo, truffarlo, blandirlo per renderlo un consumatore inerte e apatico.
Finisce per essere inghiottito dalla propaganda più tossica, commerciale tanto quanto politica, ostaggio di notizie false, deliri complottisti, promesse ingannevoli. Schiavo cioè degli eterni Azzeccagarbugli travestiti oggi da cinici gestori di algoritmi o da “top player” della comunicazione. D’altra parte, c’era un sugo della storia che sui banchi, finendo di leggere – magari controvoglia – I promessi sposi magari ci sfuggiva: l’approdo del povero e vessato Renzo a una conclusione semplice e saggia. Dalle sue traversie Renzo ha capito che ai suoi figli andrà meglio se sapranno scrivere e leggere: «Giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro».
E dicendo “leggere” nemmeno Manzoni pensava al leggere romanzi: pensava, più banalmente, al saper decifrare segni cavandone un senso.
Di fronte alla ulteriore contrazione del numero di lettori in Italia (gli ultimi dati Aie parlano di circa un milione in meno) ci affanniamo, nel mondo culturale e editoriale, a richiamare la necessità della promozione. Sacrosanta! Ma se le strategie in atto non hanno prodotto effetti così decisivi e palpabili, non sarà arrivato il momento di fermarsi seriamente a riflettere? I festival, le fiere, i saloni sono un cantiere vitale e pulsante di una società civile orfana di bussole ideologiche e spirituali, ma insistono grossomodo su una platea già conquistata da tempo – attrezzata, partecipe, invecchiata. Avremo sempre meno lettori di romanzi e di libri in genere, se sempre più cittadini disimparano a leggere. Se fanno fatica a leggere. Ma se i cittadini disimparano a leggere, pretendere che corrano nelle librerie diventa un controsenso o una petizione retorica. Per questo aveva ragione De Mauro a dare, inascoltato, l’allarme: in quel 95% di persone che oggi parlano italiano o dicono di parlarlo – osserva in un testo ripreso di recente inPassione civile (Laterza) – solo una piccola parte ha il pieno controllo dell’uso scritto e parlato. E ancora: alla metà del secolo scorso solo il 10% dei cittadini varcava le porte dell’istruzione superiore. La percentuale odierna è sei volte tanto. E tuttavia, uscendo già deboli nelle competenze alfanumeriche, continuano a indebolirsi. E non troveranno facilmente occasioni, sollecitazioni per frenare la regressione. La scuola spesso lavora da sola nel deserto, diceva De Mauro. E dopo la scuola? Dopo la scuola per molti non c’è niente. Finché ha avuto voce, ha insistito sulla necessità di un sistema di istruzione permanente degli adulti. Ma chi ha ascoltato?