la Repubblica, 11 dicembre 2024
Biografia di don Mazzi
Nella casa con il mulino, tra le foto incorniciate, ce n’è una con il tronco di un albero e decine di siringhe conficcate. C’è scritto: Parco Lambro, 1984. È un monito per non dimenticare la palude sociale dell’eroina che inghiottiva giovani vite, in questo polmone verde tra l’ospedale San Raffaele, la tangenziale e i palazzoni di Milano 2. Quarant’anni dopo, intorno a Cascina Molino Torrette, sono cresciuti i fiori e anche la fondazione Exodus di don Antonio Mazzi. Il 2024 è un anno di cifre tonde per il prete dei tossicodipendenti e degli assassini. Il 30 novembre scorso ha compiuto 95 anni ma nonostante il peso dell’età è ancora lì, sulla sua scrivania senza pc, dove le lettere vengono scritte a mano.
Don Antonio Mazzi, perché si è fatto prete?
«Perché venivo da una famiglia povera, mio padre morì a 30 anni di broncopolmonite. Dopo le elementari mi mandarono nel collegio don Calabria di Verona».
Com’è arrivata la fede?
«Il vescovo di Ferrara era rimasto con il seminario vuoto, venne a chiedere aiuto a noi. Io accettai di andare lì perché sapevo che vicino c’era Bologna, con la sua università. Ma nel 1951 esondò il Po e ci fu l’alluvione. Una notte i vigili del fuoco chiesero anche il mio aiuto, per badare ai bambini sopravvissuti. Quella notte decisi che dovevo diventare il padre di chi non ha più un padre».
Ora Exodus ha 40 comunità in tutta Italia. La Chiesa l’ha sostenuta in questa sua opera?
«Non ho mai cercato la Chiesa, io lavoro con i volontari. L’unico che mi ha aiutato, alla sua maniera, da gesuita, è stato il cardinale Carlo Maria Martini».
Perché non ha mai cercato l’aiuto della Chiesa?
«Perché non mi interessa una Chiesa fatta così: sono rimaste le mura ma dov’è lo spirito? È il motivo per cui le chiese sono vuote. Il Papa è andato a trovare Emma Bonino e l’Italia intera si è stupita ma è una cosa che dovrebbe fare regolarmente. Il Papa è il vescovo di Roma, con la gente dovrebbe starci sempre».
Qual è il suo giudizio su Bergoglio?
«Gli argentini sono un po’ come i napoletani: sanno conquistare, poi però bisogna anche trovare il coraggio di fare qualcosa di concreto».
Per esempio cosa?
«Aprire alle donne, eliminare il celibato dei preti e abolire i seminari. È assurdo rinchiudere in seminario i ragazzi nel periodo dell’adolescenza: è ovvio che poi, più tardi, emergono problemi di natura sessuale».
Lei ha mai avuto tentazioni?
«Ci ho pensato, sì. Mi ha salvato tutta l’urgenza che c’era fuori. Pensai: se mi innamoro dove va a finire tutto questo?».
Quarant’anni di attività. Qual è il suo segreto, se ne ha uno?
«A San Patrignano li rinchiudevano dentro in comunità. Io ho fatto una scelta diversa: ai disperati del parco Lambro proposi di venire con me a fare un’avventura. E partimmo con la prima carovana, 9 mesi in giro per l’Italia, con le bici e il camper. Non ho segreti, credo negli spazi aperti, nelle alternative alle carceri».
Come sono i tossicodipendenti oggi?
«Il problema non è solo la droga, il problema più grave dei giovani di oggi è che gli abbiamo spento il futuro. Mentre la società di ieri provocava, quella di oggi non stimola. I pazzi del ’68 agivano in nome degli ideali, quelli di oggi ammazzano e basta».
Lei ha ospitato nella sua comunità vari reduci di quella stagione.
«Ho avuto Marco Donat-Cattin, figlio di Carlo, che fu anche ministro della Dc. Poi Morucci e Faranda. Non pretendevano di avere ragione, semplicemente chiedevano di non essere giudicati».
Ha seguito anche Erika De Nardo.
«Erika l’ha salvata il papà, che l’ha sempre seguita nonostante tutto. Aveva un carattere forte, era una leader anche in carcere. Si è rifatta una vita, non la sento più da tempo».
E Pietro Maso?
«Non mi è mai piaciuto e, secondo me, è ancora lo stesso Maso. Spero di sbagliare».
Hanno dato l’ergastolo a Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin. Cosa ne pensa?
«Mi scuso con il papà di Giulia, ma sono contro l’ergastolo. Non ne capisco il significato. A Gino Cecchettin chiederei: tu hai perso una figlia e sai cosa vuol dire stare senza, perché la famiglia di Filippo deve provare lo stesso baratro?».
Quale dovrebbe essere, quindi, l’alternativa al carcere?
«La forza della normalità. Bisogna che queste persone vivano la normalità, solo così prima o poi vengono dalla nostra parte».
Un errore commesso in questi anni?
«Un ragazzo voleva andarsene a tutti i costi dalla comunità e io lo lasciai andare. Poche ore dopo venne la polizia: si era suicidato».
Una scommessa vinta?
«Roberto faceva il finto posteggiatore a Roma, ce lo portò Renato Zero: adesso è responsabile di una comunità in Calabria».
Come le sembra la destra al governo?
«Come possa essere arrivato al governo uno come Salvini non me lo spiego».
E di Giorgia Meloni cosa pensa?
«Mi piace solo perché è una donna ed è bello che sia lì ma credo nell’ideale dell’antifascismo. Penso che Prodi sia ancora il migliore in circolazione».
Che ricordo ha di Silvio Berlusconi?
«Mi chiesero se poteva venire a fare qui l’alternativa al carcere: dissi che per me poteva venire a pulire i cessi.
Lo incontrai una sola volta, insieme a don Verzé».
Cosa servirebbe, secondo lei, alla società di oggi?
«La cosa più urgente da fare è cambiare la scuola. La scuola di oggi è fascista: stessi programmi per tutti. Ogni persona ha la sua storia. Solo una grande rivoluzione nella scuola può cambiare la società».
Ha compiuto 95 anni: il suo bilancio è positivo?
«Me ne vado convinto che possano continuare ciò che io ho cominciato. Non ho fatto tutto e questo mi rende felice».