Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  dicembre 11 Mercoledì calendario

I tre pericoli del digitale

La modernizzazione del Paese e il suo rilancio passano per la digitalizzazione. Considerazione molto vera ma è necessario assicurare competenza e diffondere quella consapevolezza necessaria per far fronte alle possibili criticità che ciò implica, anche per scongiurare che il digitale si trasformi in una moderna palude in cui ci si può impantanare e dalla quale diventa una vera impresa uscire. 
Tre i rischi che già si intravedono e che bisogna necessariamente evitare. Nelle pubbliche amministrazioni gli ultimi anni sono stati decisivi e man mano le procedure cominciano a fare il grande salto sulle piattaforme digitali governate dal principio del once only (unicità dell’invio e dell’utilizzo dei dati e delle informazioni) e dall’interoperabilità tra i sistemi. Tuttavia, a dispetto delle aspettative, l’utilizzo di piattaforme e la progettazione di servizi digitali per i cittadini, se non ben congegnati, possono produrre anch’essi lungaggini, una sorta di burocrazia digitale molto più insidiosa di quella associata alle attività amministrative analogiche. Le procedure che devono essere svolte su piattaforma, infatti, sono frutto di uno schema operativo che se non congegnato in modo chiaro e logico può provocare inutili blocchi dovuti a una rigidità che per essere risolta può richiedere mesi di lavoro. Né si può annullare e ricominciare daccapo seduta stante, come accade nel mondo analogico, perché generalmente sono coinvolti sistemi interconnessi che non consentono scappatoie. E allora che fare? In primis è necessario che tecnici e giuristi imparino a governare insieme la digitalizzazione delle procedure adottando una chiave di lettura comune. I giuristi sono abituati a interpretare e a trovare (quasi) sempre una soluzione in argomentazioni sistematiche, confidando sulla «elasticità» che le norme spesso consentono soprattutto quando ci si confronta con un quadro normativo ingarbugliato. I tecnici hanno invece necessità di avere regole precise non soggette a interpretazione. L’elasticità cui è abituato il giurista, che spesso è un valore perché consente di superare intoppi «burocratici», rischia di essere un ostacolo per la diffusione del digitale che necessita di una linearità nell’ideazione delle attività. Solo il confronto tra il mondo giuridico e digitale, come in parte sta già accadendo, può contribuire a evitare gli errori e quindi la «palude». 
Altro tema. È necessario che si eviti che la digitalizzazione crei nuove emarginazioni. Per avere più trasparenza, tracciabilità, efficienza bisogna fare in modo che tutte le amministrazioni siano allineate e che tutte utilizzino strumenti digitali per evitare di lasciarne alcune indietro a svantaggio dell’attività amministrativa stessa e del livello di trasparenza che, benché non sempre soddisfacente, già si assicura. Se non si utilizzano piattaforme, sia per ragioni di scarsità di risorse per l’acquisto di tecnologie che di competenze disponibili, il rischio di creare nuove arretratezze è molto alto, soprattutto se la modalità digitale, una volta introdotta, non consente più di operare in modo tradizionale. Le persone chiamate a svolgere attività di interesse pubblico, inoltre, devono essere al passo altrimenti restano fuori con ricadute sui diritti dei cittadini; per evitare ciò è allora necessario assicurare una fase di accompagnamento al digitale. 
Infine, va considerato il terzo rischio, il più importante; anche il legislatore deve essere al passo con i tempi e tenere conto della trasformazione in atto. Il grido d’allarme va in due direzioni: da una parte è necessario che le norme siano chiare e accurate, che valutino l’impatto, che si assicuri che non ci siano contraddizioni nella disciplina o nella sopravvivenza di norme contrastanti. Le norme devono prestarsi a realizzare processi digitali che non consentono ambiguità o interpretazioni in corso d’opera. Il legislatore, poi, deve saper dialogare con i tecnici e accettare il confronto non potendosi scrivere le norme in mentalità «analogica» e aspettarsi una applicazione in digitale. Le norme vanno condivise, pena il rischio di una difficile operatività delle stesse. Anche al legislatore, quindi, in questa fase di cambiamento è richiesta una maggiore attenzione e, perché no, anche un po’ di umiltà.