Corriere della Sera, 11 dicembre 2024
Biografia di Francesca Cavallo
«Da piccola, papà mi chiamava, ‘nZurta Santi, in dialetto pugliese, perché ero così irrequieta che facevo perdere la pazienza anche ai santi».
Francesca Cavallo «bambina ribelle» lo è sempre stata. Poi, nel 2016, con Elena Favilli, scrisse Storie della buonanotte per bambine ribelli, otto milioni di copie vendute, traduzioni in 49 lingue, 14 milioni di dollari fatturati in un anno tra favole e merchandising. E terremotò sia una tradizione millenaria di favole con eroi al maschile sia un’industria dell’editoria spiazzata da un best seller autoprodotto, autodistribuito e lanciato con un crowdfunding da record: 675 mila dollari raccolti. Ora, le Storie spaziali per maschi del futuro, firmate da Francesca e autopubblicate con la sua Undercats, sono da poco uscite in italiano e sono in corso di traduzione in nove lingue.
Qual è il primo gesto da «bambina ribelle»?
«Il primo consapevole avviene a 22 anni, quando scendo nella piazza del mio paesino, a Lizzano, e mi metto a leggere ad alta voce pezzi di Gomorra. In Roberto Saviano avevo trovato le parole per descrivere l’ingiustizia che vivevamo a Lizzano, dove c’era la discarica di rifiuti speciali più grande d’Europa: parole indicibili perché il proprietario finanziava qualunque attività del posto, per cui, nessuno osava parlare della puzza e dell’inquinamento che provocava. Col tempo, nacque un’associazione e riuscimmo a far chiudere la discarica».
Nella sua autobiografia per Salani, «Ho un fuoco sul cassetto», scrive: «Sono cresciuta in un mondo cattivo». Com’era quel mondo cattivo?
«Era la Puglia di fine anni 80, inizi 90, con 160 omicidi in un biennio nella guerra fra i clan. Io vengo da una famiglia perbene, ma, alle elementari, sapevo riconoscere dalla forma del fumo su un muro se era esplosa una bomba dentro casa o un’auto davanti a casa».
Quanto agli esempi femminili, lei che mamma ha avuto?
«Mamma è laureata, ha studiato perché mio nonno era stato prigioniero in India e aveva migliorato la sua condizione imparando l’inglese e diventando interprete degli ufficiali, per cui teneva tanto all’istruzione. Però non ha mai permesso a mamma di andare a una festa di compleanno e uscire di casa per divertirsi e le vietò Medicina perché non era una “laurea da donne”, per cui mia madre si è poi dedicata alla famiglia».
Lei ama sottolineare che è queer e lesbica, come è stata la sua ricerca dell’identità?
«Da bambina, quando mi leggevano le fiabe, proiettavo me stessa nei principi, mai nelle principesse. Alle medie, la doccia dopo la pallavolo era un incubo: avevo paura che le mie compagne potessero pensare che le guardavo in un modo non giusto. Non sapevo perché avessi questa sensazione: ho scoperto che esisteva il lesbismo solo anni dopo e ho capito che ero attratta dalle donne solo quando ormai studiavo teatro alla Paolo Grassi di Milano. M’innamorai di una compagna di corso. Quando ci siamo baciate, ho pensato: come può una cosa così bella essere sbagliata? Questo pensiero mi ha salvata».
Perché in un video su Instagram pubblicato quando la gestazione per altri è diventata reato universale ha la voce rotta dal pianto?
«Perché mi reputo estremamente privilegiata: non mi sono mai dovuta nascondere, ma allo stesso tempo, nei miei 41 anni di vita, non ho avuto neanche una storia d’amore che non fosse tinta dai colori dell’omofobia. Piangevo perché io sono un bulldozer, sono forte, ma non tutti sono fatti così».
Quando nascono le bambine ribelli?
«Io ed Elena eravamo in America perché avevamo vinto un concorso per start up. Avendo ideato due serie tv di cartoni animati, ero a Miami al Kids Screen Summit. Ascolto Geena Davis fare un discorso meraviglioso sulla necessità di inserire nei cartoni figure come poliziotte o scienziate affinché le bambine sapessero di poter fare tutti i lavori. Ma io, sulle ginocchia, avevo due progetti con protagonisti maschi... Allora, inventammo una newsletter con storie di donne famose che si erano affermate al di là degli stereotipi di genere: Who framed Cinderella? Chi ha incastrato Cenerentola? Sottotitolo: Good Night Stories for Rebel Girls».
Da lì il libro. Perché l’autopubblicazione?
«Il progetto non interessava a nessuno e pensammo al crowdfunding. Lanciammo la campagna e in poche ore raccogliemmo ventimila dollari. Eravamo in pigiama nella nostra minuscola cucina a Venice Beach, avevamo una sola scrivania, eravamo due ragazze immigrate in America senza niente e la nostra vita stava cambiando. Subito dopo, avevamo alle calcagna gli agenti letterari più potenti, ma capii subito che questo non certificava il mio valore di scrittrice e che dovevo tutelare la libertà creativa e il valore economico di quello che stavamo creando. Quando HarperCollins offrì un milione di dollari e rifiutammo, ci dissero: non è ragionevole, da sole non ce la farete mai. Ma risposi: non voglio scrivere un libro per bambine ragionevoli. È stato brutale trovare uno stampatore, organizzare la distribuzione in 75 Paesi e intanto scrivere il libro».
Scriverlo? Non l’avevate già scritto?
«Era maggio e avevamo promesso che il libro sarebbe arrivato entro Natale a chi l’aveva sostenuto. Per fare in tempo, ho scritto cinque storie al giorno».
Finito il sodalizio con Favilli, nel 2020 è tornata in Italia. Perché adesso queste «Storie spaziali per maschi del futuro»?
«Perché anche i maschietti subiscono condizionamenti fortissimi: non possono mostrare sentimenti e debolezze, devono essere all’altezza di aspettative che altri hanno stabilito per loro. Vogliamo uomini capaci di navigare l’emotività, ma ripetiamo la baggianata che i bambini hanno una vita emotiva più rudimentale delle bambine».
La vittoria di Donald Trump, maschio del passato, cosa ci racconta degli americani di oggi?
«Che quelli cresciuti con un’idea di supremazia di genere sono frustrati perché non hanno ottenuto quello che c’era nella loro promessa educativa e votano a destra. Questo ha determinato la sconfitta di Kamala Harris, che conosco e ho sostenuto fin dalle primarie».
Francesca Cavallo e Kamala Harris, 60: Cavallo l’ha sostenuta fin dal 2016. Ora, dice: «Trump l’ha sconfitta perché l’hanno votato i maschi cresciuti con un’idea di supremazia di genere»
Altri incontri memorabili nei suoi anni americani?
«Il pranzo con Eva Longoria o con Reese Witherspoon, l’incontro con Kerry Washington sul set di Scandal mentre allattava suo figlio e quello a New York con Cate Blanchett».
Perché tante attrici?
«Volevano acquistare i diritti per cinema o tv delle bambine ribelli, ma non li abbiamo venduti. Interessava l’idea delle “bambine” che prendevano il potere, mentre io voglio che le bambine cambino il potere. Non mi interessa l’equazione: prima comandavano gli uomini, ora comandiamo noi. Non immagino un mondo in cui le donne vincono e gli uomini perdono».
Lei non ha figli, come riesce a scrivere storie che piacciono ai bambini?
«Non ho ancora figli, ho dei nipoti. E un unico criterio che mi guida: scrivo solo cose che possano creare un effetto dopo, scrivo per cambiare gli uomini e le donne di domani».