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 2024  dicembre 11 Mercoledì calendario

Tremonti dice che i populisti «sono effetti di un mondo in movimento» e vanno compresi

C’è un legame tra quello che sta accadendo in Siria e in Romania. Ed è «l’eterna questione dei confini, tornata alla ribalta dopo la crisi della globalizzazione». Confini che si creano o si disfano, con le armi o attraverso la rete che aggredisce o comunque limita il potere degli Stati, già in crisi per una cessione di sovranità verso l’alto – l’Unione europea – e di lato, verso il mercato e le dinamiche comunicative non controllabili. Fenomeni enormi, dei quali Giulio Tremonti (oggi presidente della commissione Esteri della Camera) si occupa dagli anni 80, e che adesso gli fanno dire come sia l’ora che le democrazie, che comunque esistono e resistono, riprendano il controllo «senza demonizzare la realtà». Perché i populismi «sono effetti di un mondo in movimento e vanno compresi». E i Paesi devono saper proporre «grandi idee» e grandi temi per tornare a un rapporto equilibrato tra poteri e popoli. Superando i confini, appunto. 
Lei parla di un legame tra Siria e Romania. Qual è?
«La Siria ci fa fare un salto indietro nel passato, la Romania nel futuro. Ma sono due facce della stessa medaglia». 
Partiamo dalla Siria. 
«Qui bisogna tornare al Trattato di Versailles e a quelli successivi, ovvero alla dissoluzione dell’Impero ottomano, cui fece seguito una sorta di colonizzazione moderna sotto forma di mandati. Per mantenere sfere di potere e di interesse economico, quell’area enorme fu divisa in confini che spesso non avevano logica e identità. La Siria era un mandato, Stato nel 1946. E tutto oggi ci riporta a quello che era il cuore dell’impero, la Turchia. A 100 anni fa». 
Sta dicendo che la Turchia in qualche modo ha un ruolo nella presa del potere delle forze che hanno abbattuto il regime di Assad?
«Esiste una elaborazione politica della Turchia, la patria blu, la presenza sui mari. L’origine di questa operazione sembra venga dalla Turchia, e questo dopo che – finito il colonialismo moderno – sono iniziate le rivoluzioni arabe sull’onda di Google. Libia, Iraq, Siria, anche Libano in qualche modo sono Paesi che hanno vissuto questi fenomeni. Credo di avere il copyright del detto “la democrazia non è un McDonald: non si esporta”. Stanno tornando i confini ottomani». 
Ma se l’operazione in Siria è in sostanza guidata dalla Turchia, non potrebbe stabilizzare l’area? 
«La regia geopolitica è turca e sì, il consolidamento potrebbe essere positivo: meglio la Turchia che l’anarchia». 
Tutto come si lega alla Romania?
«Nel luglio del 1989 il Corriere mi chiese un articolo per il bicentenario della Rivoluzione francese. Quello del 1789, scrissi, fu il principio delle Assemblee nazionali e dei Parlamenti; il 1989 sarebbe stato, come titolò il Corriere, l’avvio di una rivoluzione che svuoterà i Parlamenti. Il Muro cadde nell’autunno successivo. Un fenomeno di devoluzione dei poteri degli Stati, verso l’alto all’Europa, e di lato verso il mercato, perché si spezzava la catena Stato-territorio-ricchezza». 
Qui nascono le crisi delle democrazie?
«Sì, perché l’origine dei problemi non era più necessariamente all’interno del proprio Stato, ma al di fuori: immigrazione, finanza, macchine che rubano il lavoro. E la globalizzazione. Però le democrazie non sono morte. C’è ancora chi va a votare, ma è la realtà che è cambiata, e non è colpa dei populismi, che non vanno demonizzati ma studiati, capiti, per agire». 
Torniamo alla Romania.
«E torniamo ai confini. La Rete ne è un aspetto. In Romania c’è stato un attacco alla struttura politica dello Stato che è arrivato dall’esterno, dalla Rete, e io credo che sia stato giusto annullare le elezioni. La realtà ci pone di fronte a grandi sfide, ma sono risolvibili». 
Come? 
«Capendo quello che succede, senza confondere effetto e causa. Servono grandi idee. Io nel 2003 chiedevo eurobond anche per infrastrutture e industria militare, ora ci stiamo arrivando. Se vai in un bar a parlare di competitività non ti capiscono. Se parli di difesa comune e di politica estera comune sì. Non basta più il mercato, il mondo è sempre più ampio. E va affrontata la realtà per come è oggi,non con le categorie dell’800 e del ’900».