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 2024  dicembre 11 Mercoledì calendario

Michel Houellebecq a tutto campo, a dieci anni dall’uscita di Sottomissione

Sono passati quasi dieci anni dal primo degli attentati islamisti del 2015, quello a Charlie Hebdo. E quindi quasi dieci anni dall’uscita di Sottomissione , lo straordinario romanzo di Michel Houellebecq che divenne suo malgrado protagonista di quella tragica giornata. Il 7 gennaio 2015, quasi in contemporanea con l’attentato rivendicato da Al Qaeda, il romanzo delle polemiche arrivò nelle librerie e Charlie Hebdouscì con in copertina una caricatura dell’indovino Houellebecq. Lo scrittore venne prelevato dalla polizia e portato in un luogo sicuro. Lo incontriamo in un caffè del quartiere Denfert-Rochereau, quando François Bayrou potrebbe diventare primo ministro della Francia. Tra le tante profezie di Sottomissione , forse non la più inquietante. 
Si ricorda quando ha finito di scrivere «Sottomissione?» 
«Non mi ricordo veramente di quel periodo. Quando scrivo un libro, di solito, smetto del tutto di informarmi su quel che succede nel mondo. Sospendo le informazioni nel momento in cui comincio il libro. Altrimenti mi disturberebbero». 
Sapeva che avrebbe provocato polemiche, che sarebbe stato esplosivo? 
«Sì. Mi colpiva il fatto che quando avevo lasciato la Francia nel 1999 non si parlava affatto di Islam. E quando sono tornato 12 anni più tardi non si parlava che di questo, continuamente. Sapevo che sarebbe stato un libro esplosivo. Magari non fino a quel punto, ma… Sì». 
Si parlava molto di «Sottomissione» e di una presunta islamofobia ancora prima della sua uscita. Che cosa ne pensava? 
«I critici non leggono granché i libri. Sotto molti aspetti, la presidenza di Mohamed Ben Abbes (il capo di Stato musulmano immaginato da Houellebecq, ndr) è un totale successo. E il progetto di ricostituzione dell’Impero romano è in sé piuttosto grandioso. Quindi parlare di islamofobia è bizzarro. Dopo l’uscita, mi dico che l’attentato contro Charlie Hebdo ha condizionato il modo in cui il libro è stato ricevuto. Per me è un ricordo un po’ da incubo. Certe persone sembrano nate per ritrovarsi in mezzo alla storia. Per qualcuno che scrive dei libri invece è completamente stupefacente, imprevedibile e spaventoso». 
Dopo dieci anni, quando ripensa a quel giorno, come si sente? La mattina dell’attentato era anche quella dell’uscita del suo atteso libro che immaginava una conquista islamica. Coincidenza straordinaria. 
«Sì, e più nel dettaglio è ancora peggio di così. Philippe Lançon racconta nel suo libro La traversata (pubblicato in Italia da e/o, ndr) che appena prima dell’attacco, in redazione, discutevano di Sottomissione. E la mattina dell’attentato ero intervistato negli studi radiofonici di France Inter e il giornalista mi ha rimproverato grosso modo di esagerare il pericolo rappresentato dai musulmani, di essenzializzare gli islamici. Quindi è stata una cosa molto violenta». 
L’idea al centro di «Sottomissione» è la penetrazione dell’Islam nella società attraverso l’università. Un’intuizione notevole, visto quello che sta succedendo nei campus e nelle università occidentali, in particolare dopo il 7 ottobre. 
«Sì, è vero. La mia documentazione era molto sommaria. È consistita nell’aggirarmi nella hall dell’università Censier, a Parigi. In effetti c’era qualche sintomo, c’erano più ragazze velate di quante avessi immaginato. E qualche manifesto che invocava il boicottaggio delle università israeliane, cose così. Mi sono detto: sono piccoli segnali di qualcosa. Era il 2014. E oggi questa tendenza si è molto allargata». 
Oggi le università sono al centro della questione dell’antisemitismo, in Francia e in Occidente. 
«Quando ero al liceo c’erano un sacco di trotzkisti, ma non sarebbero stati pro-Hamas. La sinistra è cambiata. Questo fenomeno ha radici che non comprendo totalmente e che non riguardano solo la sinistra. Per esempio, non credo che l’anticapitalismo sia così diffuso negli Stati Uniti. Ma le manifestazioni pro-Palestina sono ancora più forti in America. Senza dubbio c’è una forma di senso di colpa occidentale, di volontà di scomparire, di pulsione suicida. E la Francia ha una particolarità, l’Algeria. Si sottolinea poco a che punto la guerra d’Algeria sia stato il nostro ultimo grande evento drammatico. Milioni di persone sono venute in Francia, un esodo massiccio. Il debutto dell’estrema destra moderna è questo. Non è Pétain, è l’Algeria». 
A proposito di Algeria, che cosa pensa dell’affare Boualem Sansal, lo scrittore franco-algerino imprigionato per delitti di opinione? 
«Sansal è molto coraggioso, e da anni mi domandavo: ma perché resta in Algeria? C’è una certa grandezza nel suo restare nel proprio Paese come resistente. Ho sempre pensato che nel 1940 fosse più coraggioso restare in Francia piuttosto che andare a Londra, per esempio. Ma io non ho questo genere di coraggio». 
L’aspetto più importante, per la presa del potere da parte dell’Islam, è l’istruzione. Fa pensare, purtroppo, agli attentati islamisti contro i professori Samuel Paty e Dominique Bernard. 
«È una cosa che hanno capito bene. Ed è vero che chi controlla l’educazione dei ragazzi, sì, controlla molte cose. L’avevano già compreso i rivoluzionari francesi. Bisogna avere il controllo sull’educazione. Quello è lo snodo chiave». 
Dopo gli attacchi del 2015, la società francese è cambiata per sempre? 
«No, il peggio è che non è cambiato niente. L’islamismo ha continuato ad avanzare. Anche se ogni volta che un professore si fa sgozzare, si dice: mai più». 
In questi giorni riapre Notre-Dame, e i francesi tengono molto a questo momento, anche da un punto di vista simbolico. Rispetto a quello di cui stiamo parlando, è una tappa che va in un’altra direzione, verso le radici cattoliche della Francia. 
«È un’emozione sincera, quando la guglia di Notre-Dame è crollata cinque anni fa questo ha colpito tutti. Ogni francese conosce Notre-Dame. Questo non vuol dire che siano tutti cattolici. Notre-Dame arriva poco dietro la Tour Eiffel come simbolo della Francia». 
Per tornare a «Charlie Hebdo», il giornale ha lanciato un concorso per nuove caricature in occasione dei 10 anni dell’attentato. È coraggioso. Che cosa ne pensa? 
«Hanno ragione. Sono obbligati a essere coraggiosi. Se smettono di lottare, sparisce la loro ragion d’essere. Sono talmente diventati emblematici della libertà che devono continuare a lottare. Penso che abbiano ancora la protezione della polizia. Non si è mai interrotta. E ce l’avranno per sempre. Devono vivere così». 
Anche lei, all’epoca, dopo l’uscita di «Sottomissione», ha avuto la scorta della polizia. 
«Sì, nel mio caso è durata solo un anno e mezzo». 
Aveva paura all’epoca? 
«Stranamente, mica tanto. I poliziotti della scorta mi facevano una buona impressione. E poi c’è forse in me anche un lato fatalista, che conta. Dopodiché, ci sono molti luoghi in periferia dove tuttora non posso andare». 
Ancora adesso? 
«Sì, anche oggi non sarebbe una buona idea. A Parigi ci sono pochi posti pericolosi. In banlieue, molti. E con i mezzi attuali della polizia, non è possibile controllare il territorio al 100 per cento. È la verità». 
All’epoca di «Sottomissione» si parlava di una supposta responsabilità degli scrittori, degli artisti. Era l’argomento «Charlie se l’è un po’ andata a cercare». E oggi? 
«La situazione si è piuttosto aggravata, ma subdolamente». 
Cioè? 
«Bisogna stare attenti a non ferire nessuno». 
È un po’ l’idea woke, no? 
«L’idea è di incitare la gente all’autocensura. Io non ho fama di fare molta attenzione. Semmai il contrario. Eppure, faccio più attenzione adesso di 10 anni fa. Sempre non abbastanza, ma sì, faccio più attenzione a quel che dico». 
Si sente meno libero rispetto a 10 anni fa, quando uscì «Sottomissione»? 
«La mia risposta non è univoca. Da una parte il romanzo in Francia resta ben protetto. Un attacco sul contenuto di un romanzo ha poche chance di funzionare. Invece, un’intervista è molto pericolosa». 
A proposito di pulsione suicida, quando vede la crisi politica francese, il governo che cade, Macron che sembra avere perso la bussola, che cosa pensa? 
«È successo qualcosa di divertente e di significativo. Perché durante tutto il periodo in cui la Francia non ha avuto un vero governo, l’estate scorsa, tutti i commentatori politici erano eccitati, drammatizzavano la situazione, ma ho avuto l’impressione che i francesi se ne infischiassero. Anzi, semmai erano contenti che non ci fosse un governo. A pensarci bene, è grave. Molti francesi pensano che quale che sarà il governo, prenderà cattive decisioni; dunque, sarebbe meglio non avere proprio nessun governo. Adesso, per esempio, non avremo una legge di bilancio, ci terremo quella dell’anno scorso. E molti si dicono: tanto meglio, tutto sommato». 
Pensa che Marine Le Pen o Jordan Bardella alla fine riusciranno ad arrivare al potere? 
«Non ne ho idea. Ma in effetti mi ha sorpreso che non ci siano arrivati. La Francia è un Paese curioso, comunque. Il Parlamento che abbiamo adesso, va detto, è molto divertente». 
E lei, ha votato o no alle ultime elezioni, la scorsa estate? 
«Sì, ho votato ma non dirò per chi, il voto è segreto ed è un ottimo principio. In ogni caso sono contro l’Europa. E penso che tutta la vicenda giudiziaria di Marine Le Pen sia incredibile. Quando me l’hanno detto credevo che fosse uno scherzo». 
Si dice che Marine Le Pen punti ad andare il prima possibile a elezioni presidenziali anticipate, perché dopo rischia di non potersi presentare. 
«E spera che il presidente Macron si dimetterà? Non lo credo neanche per un istante. Ho incontrato Emmanuel Macron molte volte nella mia vita. Non ho capito granché della persona. Ma in ogni caso, penso che non si dimetterà. E a mio avviso, sbaglia». 
Macron dovrebbe dimettersi? 
«Se lo facesse adesso, avrebbe forse delle chance di tornare. È ancora giovane e può tornare. Ma se lascia che la situazione si trascini fino al 2027… Se io fossi il suo coach personale, gli consiglierei di dimettersi nobilmente dicendo: “I francesi non mi hanno capito”. Poi cercherei di tornare, più in là. Io, al suo posto, me la giocherei così». 
Qual è la cosa più importante che resta oggi, a suo avviso, di «Sottomissione?» 
«L’ultima frase: “Non avrei avuto niente da rimpiangere”. Quel che il protagonista François ha da rimpiangere è Myriam, la ragazza che amava e che ha preferito trasferirsi in Israele. “Non avrei avuto niente da rimpiangere” vuol dire, allo stesso tempo,”Avrei avuto tutto da rimpiangere”. Emmanuel Carrère mi ha fatto un grande piacere nel paragonare quest’ultima frase del romanzo alla frase di 1984 di George Orwell: “Amava il Grande Fratello”. Poi sono contento anche del passaggio della conversione fallita davanti alla Vergine Nera. Infine, ci sarebbe un’altra cosa della quale sono molto contento, se posso permettermi». 
Certamente, quale? 
«Quando Myriam scrive a François: “Ho incontrato qualcuno”, e lui si dice: “Anche io, sono qualcuno”».