Linkiesta, 10 dicembre 2024
Trump troll in chief, e “The Bad Guy” come metafora di tutte cose
«Lo sa cosa fanno i presidenti del consiglio? Cadono. Schiavi del partitismo, della lotteria delle elezioni. I ministri, invece, sono eterni». Lo dice un ministro di non ricordo più cosa in “The Bad Guy”, che più lo guardo e più mi sembra metafora di tutte cose.
Fosse andata in onda tre anni fa, questa seconda stagione mi sarebbe sembrata quella battuta di allora, quando dicevamo che i governi erano quella cosa che cambiava mentre Franceschini restava sempre ministro della Cultura.
(L’attuale ministro della cultura domenica sera era in un filmato di “Report”, ha dato un biglietto da visita all’inviato alla rincorsa, gli ha detto di scrivergli all’indirizzo lì segnato, «senza virgola tra soggetto e verbo», e quando sono tornati in studio il conduttore ha chiosato «sempre ermetico, il ministro», e il conduttore è persino più vecchio di me e insomma a che punto del Novecento è iniziato il declino della scuola dell’obbligo?).
Poiché la seconda stagione di “The Bad Guy” è arrivata su Prime solo ora, viene spontaneo paragonarla all’Italia di adesso, che è identica a quella di tre anni fa ma facciamo finta di no. Viene spontaneo paragonarla ai fatti dei giorni in cui la si guarda, perché rispetto a tre anni fa abbiamo perso ulteriore terreno nella capacità d’avere memoria storica.
Il weekend parigino della classe dirigente mondiale ha fornito nuovo materiale a chi ama fantasticare romanticherie da immagini forse ingannevoli e forse no. Io, quando vedo i filmati di Giorgia Meloni che guarda apparentemente adorante Elon Musk, penso: ma perché no. Ma perché una non dovrebbe subire il fascino d’un tizio che sarà pure un cazzone ma è anche un genio, sarà pure un cazzone ma è anche multimiliardario, sarà pure un cazzone ma in casa puoi riposarti ché i pantaloni li porta lui: sarà ben meglio dei cazzoni tout court.
Poi penso che il problema della fecondazione per altre, in questa dinamica sulla quale scrivere sette stagioni di serie televisiva, non è quello su cui si concentrano i battutisti dilettanti su Twitter (o come si chiama ora). Non è che Giorgia dovrebbe far arrestare Elon in nome del reato universale, no.
È che Elon è un accumulatore seriale di figli, e Giorgia tra un mese ne compie 48, dice pure nella sua autobiografia che non è riuscita ad averne altri dopo l’unicogenita Ginevra ma insomma: una quarantottenne non è certo quel che si sceglie uno con una compulsione per la carne fertile. Certo che c’è una soluzione, e per Elon non sarebbe neppure la prima volta, ma se nessuno (a parte i battutisti scarsi) si aspetta che la Meloni chieda l’arresto per un multimiliardario con uso di gestante, è pur vero che se la gestante lei ed Elon la utilizzassero in coppia sarebbe un po’ troppo anche per il distratto elettorato di questo secolo.
«Lei non ha una famiglia?», chiede sempre lo stesso ministro in “The Bad Guy”. Lo chiede a quello strepitoso personaggio che è il tizio dei Servizi interpretato da Stefano Accorsi, la cui bionditudine fa sembrare il parrucchino di Sacha Baron Cohen in “Disclaimer” tutt’una naturalezza. Quello risponde: «No, i contesti sani mi disturbano».
C’è quella storiella che racconta Marc Maron sul vecchio amico che incontra e che gli fa un pianto su quant’è infelice la sua vita familiare, quanto non ne può più, quanto non sopporta moglie e figli, e lui torna a casa sapendo che l’amico è tornato dalla moglie e le sta dicendo: ho incontrato Marc, poverino, ancora solo, chissà come soffre.
Su Twitter, o come si chiama, c’è una tizia che scrive che ha incontrato anche lei una vecchia amica, che si è lasciata col fidanzato perché lei era in carriera e lui no. La tizia conclude, senza alcuna ironia, che lei sì che è fortunata, perché non avrà una carriera ma si sveglia alle cinque per andare a tifare il bambino alla partita di hockey (ma a che ore giocano a hockey i bambini americani? Ma è legale?).
Dice la tizia che è molto grave che le donne siano state convinte a pensare d’essere pari agli uomini e dover mettere la carriera davanti al resto, e a me viene in mente che è come l’incomunicabilità tra chi non sa cosa significhi «consenso» rispetto allo scopare e chi fa i video in cui la gente famosa dice «se io non voglio, tu non puoi»: io e quest’aborigena che pensa che le donne in un mondo in cui esistono gli anticoncezionali e la possibilità di avere talenti e realizzazioni debbano innanzitutto riprodursi, io e quest’aborigena che di sicuro se vede un video della Meloni ha bisogno di pensarla innamorata di Elon o d’altri, io e quest’aborigena cos’avremo mai da dirci?
Domenica Donald Trump ha fatto il post più incredibile mai comparso su un social, ci ho messo un po’ ad accorgermene perché l’ha postato su Truth, che credo sia il social di destra ma non so bene: sono troppo vecchia per iscrivermi a nuovi social, già mi sembra ridicolo essere iscritta a quelli preesistenti.
Ha preso la foto di cui vi dicevo ieri, quella in cui Jill Biden pare guardarlo adorante, e l’ha usata, dio della continenza aiutami a non gridare al genio, per pubblicizzare l’acqua di colonia da lui prodotta. No, neanch’io sapevo che Trump avesse messo in produzione dei profumi. Soprattutto, non sapevo che li avesse chiamati “Fight, Fight, Fight” (non si parla abbastanza dell’atteggiamento «Non si butta niente, come del maiale» con cui quell’uomo approccia la vita).
Consiglia l’acquisto di “Fight, Fight, Fight” per i regali di Natale e, sulla foto di Jill che lo guarda sorridente, appone lo slogan di cui non sapevamo d’aver bisogno: «Una fragranza alla quale i tuoi nemici non possono resistere!». Quando io vi dico troll in chief, voi dovete prendermi sul serio, invece di perder tempo a prender sul serio lui.
C’è un dialogo tra Claudia Pandolfi e una bionda, in “The Bad Guy”, che fa così: «Sono Luvi Bray», «Lo dice come se dovessi conoscerla», «Suo padre ha ammazzato mio padre», «Mio padre ammazza tanti cristiani», «Con trenta chili di tritolo?», «Ha un caratteraccio».
Circa venticinque anni fa, quando Aaron Sorkin lavorava tantissimo, una delle critiche che più andava di moda fargli era che i suoi personaggi fossero tutti best and brightest: avevano tutti la battuta prontissima, la citazione perfettissima, la morale lucidissima, parlavano tutti come l’autore. Noialtri cui piaceva sentire battute brillanti pensavamo: e quindi?
Adesso che non è più brillante nessuno, ma proprio nessuno, adesso che ci siamo ridotti a rivalutare Andreotti e Berlusconi che ogni tanto azzeccavano una battuta, adesso che sono-come-voi è l’unica linea editoriale e accomuna tutti – ministri e romanzieri, ereditiere e influencer, popstar e tycoon – adesso è con un certo struggimento che guardo il mafioso che, in “The Bad Guy”, tiene l’archivio della trattativa stato-mafia in una cassetta. Uguale precisa a quelle su cui io continuo a registrare le interviste, perché venticinque anni fa ebbi un breve periodo di sperimentazione d’una moda del momento, si chiamavano mini-disc, e mi cancellò un’intervista e mai più mi sono fidata del digitale, la cassetta al massimo si sfila e la riavvolgi con la penna biro.
Quando gli chiedono perché, il mafioso dice «Sono un uomo del Novecento, credo solo nelle cose», e lo dice nonostante nessuno di quelli che hanno fatto “The Bad Guy” sia abbastanza adulto da aver avuto le musicassette, la più vecchia tra gli autori non era neanche alle elementari quando misero il catalogo di David Bowie su cd, e forse è lì che tutto ha iniziato ad andare a rotoli, gente cresciuta coi cd poi è diventata gente che ritiene normale stare sui social, mettere i like, cercare le scariche di dopamina, accontentarsi di interlocutori non brillanti, credere nelle puttanate invece che nelle cose.
Gente che – ricopio da un editoriale che non avrete letto perché chi li legge più gli editoriali, sono più corti d’una pagina della “Recherche” ma insostenibilmente più lunghi d’una didascalia di Instagram – «mentre traduce, lavora, studia, fa l’amore o sta parlando con te intanto sta anche guardando uno schermo o più d’uno, rispondendo – scusa, è urgente – a un messaggio, alla polemica del giorno, sta mettendo like al reel dei coccodrilli che gli ha mandato qualcuno che conosce appena ma fa ridere, bisogna interagire subito». L’ha scritto Concita De Gregorio domenica. Bisogna interagire subito. Parole che mi fanno assai più paura di «Fight, fight, fight», ma sarà di certo una fisima mia.
Ieri Stefano Accorsi ha instagrammato alcune immagini come studio del suo personaggio. Ce n’è una in cui nel costume di scena si vedono i capezzoli. George Clooney secoli fa ha detto che capì che il suo “Batman” sarebbe stato un disastro quando vide che sul costume di scena c’erano i capezzoli. Era il 1997.
I secoli non sono affare di calendario, ma di percezione culturale. Per me, il Novecento è finito quando Batman ha avuto un costume coi capezzoli. Credo solo nelle cose, nell’analogico, nei dialoghisti brillanti, nei riferimenti stagionati, nella scuola dell’obbligo che t’insegna dove mettere le virgole, e nei costumi di scena senza capezzoli.