Avvenire, 10 dicembre 2024
Parla Jacques Murad, vescovo di Homs
Una svolta tanto imprevista quanto improvvisa in Siria. Ma “voltare pagina”, per la minoranza cristiana – 360mila fedeli di varie denominazioni – significa dover navigare fra la speranza di una svolta e timori di violenze. Per ora, secondo Jacques Murad – vescovo di Homs dal 3 marzo 2023, primo seguace di padre Paolo Dall’Oglio a Mar Musa, rapito nel 2015 a Qaryatayn dall’Isis a cui è riuscito a sfuggire dopo quattro mesi di prigionia in cui gli venne chiesto di abiurare – la transizione sembra pacifica.
«Qui ad Homs la situazione è buona, la gente celebra la libertà ritrovata: spera in novità concrete, che tutto questo non sia un sogno. Per noi cristiani c’era un’atmosfera di paura, dovuta alla propaganda secondo cui qualsiasi alternativa ad Assad è fanatismo e terrorismo. La gente aveva timore che i nuovi arrivati fossero dei terroristi: quindi abbiamo lavorato per chiarire che non è questa la realtà. I rivoluzionari hanno dichiarato un paio di volte che non è così: adesso, passati i primi giorni, sono più tranquilli.
Ha avuto modo di incontrare i rappresentanti del nuovo potere? Cosa le hanno detto?
Si, oggi. Mi hanno detto che assicurano il rispetto dei cristiani come di altre minoranze perché tutti facciamo parte di questo Paese.
Non c’è il timore che poi, introducendo la sharia, introducano restrizioni. Che garanzie avete avuto su questo?
Abbiamo discusso anche di questo: è vero che sono musulmani e che vogliono imporre la sharia, ma per noi è garantita la libertà di culto, l’apertura delle nostre scuole e delle nostre istituzioni. L’unica cosa, hanno precisato, per loro non è possibile che le donne vadano per strada, con gonne corte. Ma non hanno parlato di hijab.
Quindi celebrerete il Natale normalmente nelle vostre parrocchie?
Sì, certo.
Passata la paura delle prime ore, prevale un clima di festa o di attesa?
Adesso un clima di attesa perché la città di Homs è ancora nel caos: c’è bisogno di organizzare molti servizi essenziali a cominciare dall’elettricità, dalla gestione dei forni per il pane e tutte le altre necessità per la vita quotidiana. Forse tra un po’ i negozi apriranno regolarmente e forse, nelle vetrine, inizieranno a comparire gli alberi di Natale. Vedremo giorno per giorno come cambia la nostra quotidianità.
Ma un nuovo governo siriano da chi dovrebbe essere composto? Solo dai rappresentanti di Hayat Tahrir al-Sham o sarà un governo di coalizione e ci sarà spazio anche per rappresentanti politici delle minoranze?
Sarà un governo di coalizione, con la possibilità anche alle minoranze di partecipare alla vita politica. Ma l’attuale esecutivo è temporaneo: tra sei, nove mesi si arriverà a formare un nuovo governo. Prima devono lavorare a una nuova Costituzione, poi eleggere il nuovo presidente della Siria che nominerà il nuovo governo. Questo è l’accordo di Doha: Turchia, Iran e Russia sono i “testimoni” che devono aiutare a realizzare questo piano ma non entrano nel dibattito interno. Il nuovo governo sarà un governo indipendente: tutti gli stranieri, gli iraniani, i russi, i turchi devono uscire dal territorio del Paese.
Quindi la sovranità della Siria sarà pienamente rispettata?
Questo è l’accordo. Come sarà realizzato e quando, non possiamo saperlo. Quello che sappiano è che ieri Israele ha preso il controllo di tutto il monte Hermon, entrando di quasi 14 chilometri nel territorio siriano.
Padre Jacques, una svolta a Damasco dopo 14 anni di guerra civile ed economica. Può descrivere le sofferenze causate da questa situazione?
Oggi la Siria ha bisogno di tutto, il regime si è preso tutto, ha rubato tutto. Per iniziare a costruire una nuova Siria, con un nuovo spirito di collaborazione, di speranza e di impegno su tutti i livelli, abbiamo veramente bisogno di un grande sostegno. Ad esempio si devono ricostruire le infrastrutture statali e questo richiede molti finanziamenti, un intervento delle grandi compagnie europee e americane per far riprendere la vita.
Monsignor Murad, lei è stato rapito da milizie fondamentaliste islamiche. Come rilegge quella esperienza alla luce degli ultimi eventi, della caduta di Bashar el-Assad?
Noi cristiani non possiamo partecipare allo sviluppo del Paese se non abbiamo fiducia e coraggio. Prima di tutto la paura e, seconda cosa, l’orgoglio costituiscono un vero rischio. Non mancherebbero motivi per essere orgogliosi, ma non è la testimonianza giusta: l’umiltà concreta è il metodo per arrivare a portare la responsabilità del Paese.
Due settimane fa avrebbe mai pensato possibile la caduta di Damasco?
Mai avremmo pensato che il regime di Assad cambiasse: è stata una sorpresa e, ancora oggi, ci sembra un sogno.
Come definirebbe il potere di Assad?
La parola giusta per questa famiglia, o questo regime, è dittatura che massacra il popolo.
Ha pensato in questi giorni a padre Paolo dall’Oglio?
Spero ancora che sia vivo e, quando hanno aperto le prigioni, ho pensato che forse potevamo trovarlo. Ma per ora non è la realtà. Comunque, se è stato ucciso, è anche grazie alla sua vita data per il nostro Paese, che siamo arrivati a vivere questo momento