Avvenire, 10 dicembre 2024
C’è da fidarsi di Al Jolani?
Un jihadista mascherato per pragmatismo. Questo è, in sintesi, Abu Mohammed al Jolani, il nuovo leader di fatto della Siria, per l’analista dell’Ispi Francesco Petronella.
Nella variegata galassia che ha cacciato Assad, qual è stato il peso dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) di al-Jolani?
Sono stati la spina dorsale dell’offensiva, sia sul piano militare che su quello politico-diplomatico. Un vero e proprio esercito. Nell’enclave di Idlib, che già governavano, conducevano esercitazioni militari. È il gruppo dominante, tant’è vero che è stato al-Jolani a nominare il premier del governo di salvezza a Damasco. Sono un gruppo jihadista, non disdegnerebbero questa definizione. Credo, anzi, che ne vadano fieri.
Un termine che rievoca i drappi neri e i macabri orrori dello Stato islamico, al quale però al-Jolani preferì al-Qaeda, di cui fondò il ramo siriano al-Nusra. Per poi staccarsene nel 2016.
È il jihad la cornice ideologica entro la quale si muovono i miliziani di Hts. Sono sunniti salafiti radicali. Anche se, fin dall’inizio dell’offensiva che in due settimane li ha portati al potere, hanno condotto una campagna d’immagine per proporsi come interlocutori moderati e affidabili. Hanno detto persino che non interferiranno nell’abbigliamento delle donne.
C’è da fidarsi?
Hanno una doppia necessità politica. All’interno, non vogliono allarmare le numerose minoranze rischiando di scatenare il caos. All’esterno, si devono proporre come un attore affidabile. Un Paese esiste se è riconosciuto dagli altri: è questo l’obiettivo di ogni nuovo sistema di potere.
Viene in mente l’Afghanistan dei taleban, isolato dal mondo. La Siria corre questo rischio?
La Siria è innestata in un Medio Oriente che non può permettersi un buco nero al centro. Persino l’Iran sta cercando di uscirne sportivamente, dicendo che il futuro del Paese dev’essere deciso dai suoi cittadini. Si è congratulato Hamas, alleato dell’Iran. Lo stesso Assad, da Mosca, non ha cercato di formare un governo in esilio e ha invece accettato un’uscita morbida. Prova ne è il fatto che il passaggio di consegne è avvenuto con lo stesso primo ministro di Assad. Da Washington, le dichiarazioni di non interferenza sono già un’apertura.
Al- Jolani viene definito un radicale pragmatico. Quanto pesa ciascuna delle due anime?
È un jihadista mascherato per pragmatismo. La revisione dell’immagine di Hts viene da lontano. Da quando al-Jolani dichiarava che l’Isis aveva spettacolarizzato le brutalità per convenienza politica, per farsi propaganda, ma era stato sconfitto da una coalizione di quasi 90 Paesimessa insieme proprio in reazione all’esaltazione di quell’estremismo. Ha capito che non era stata una scelta vincente.
Possibile che sia diventato moderato, ammesso che il jihadismo moderato esista?
Non esiste. Si possono abbassare i toni, abbandonare alcuni elementi estremi. Ma non si può smettere di far parte dell’islam radicale politico. Se così fosse, avrebbe già perso il sostegno dei suoi.
La legge siriana sarà la sharia?
È una certezza. Va precisato che il termine sharia vuol dire “strada” e che è una strada larga. Non sappiamo se la Siria sarà fondamentalista come l’Isis o wahabita come l’Arabia Saudita o altro, ma di sicuro il nuovo governo baserà la sua azione sulla sharia.
Come immagina il futuro della Siria?
Gli scenari sono due. Il primo è quello della costruzione graduale di un rapporto di fiducia con gli altri Paesi, basato sul monitoraggio esterno del rispetto dei diritti umani. A Damasco verrebbe dato un messaggio del tipo: vi riconosciamo, vi forniamo gli aiuti umanitari di cui la popolazione ha tanto bisogno, ma dovete impegnarvi a tutelare i diritti delle donne, la libertà religiosa, le minoranze. Il secondo scenario è quello dell’isolamento: la nuova Siria diventa un paria, con tutte le difficoltà che ne conseguono per la popolazione. L’impressione è che i primi segnali che arrivano, persino dalla Russia, vadano nella direzione di trattare con chi comanda