il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2024
Sapessi com’è strano Elon Musk a Mosca
A Mosca, alle tre del mattino, il 5 dicembre non nevicava e non c’era molto freddo; il tassista, che mi ha portato dall’aeroporto di Vnukovo all’albergo Petr Pervyj, a un semaforo, in centro, ha aperto la portiera e ha sputato per terra. Poi ha richiuso la portiera. E io ho pensato “Ecco, siamo in Russia”.
Eravamo vicini, ma abbiamo girato ancora dieci minuti perché Google Maps, nel centro di Mosca, funziona a fatica. Per via dei droni, mi han detto.
È la quarta volta, che vengo, da quando è cominciata quella che loro chiamano “operazione speciale”, e mi sembra diventi ogni volta più complicato.
La prima volta, a Pietroburgo, nel 2022, la guerra sembrava lontanissima, era estate, la città era in festa, i russi cordiali come son sempre stati, con me.
La seconda volta, agosto 2023, sempre a Pietroburgo, quasi uguale, se non fosse che i funzionari di Stato, i direttori dei musei coi quali ho avuto a che fare per lavoro avevano quasi paura, di me, mi sembrava di essere, per loro, compromettente.
La volta scorsa, a Mosca, settembre 2024, mi sono fermato solo due giorni la città era coperta di striscioni, di palloncini, di cartelloni pubblicitari che festeggiavano il fatto che pochi giorni dopo Mosca avrebbe compiuto 877 anni. Che era una cosa, singolare. Che bisogno c’era, di far sapere a tutti che Mosca compiva 877 anni?
Questa volta, dicembre 2024, era la prima volta che venivo in Russia dopo che avevano pubblicato un mio romanzo, in russo.
E prima di partire avevo scritto alla mia casa editrice russa dicendo che avrei registrato un breve messaggio nel quale davo notizia del fatto che sarei stato a Mosca. E loro mi hanno risposto “Ma che bel pensiero”. E io ho registrato un messaggio che diceva, più o meno: “Buongiorno, mi chiamo Paolo Nori, sono uno scrittore italiano, mi hanno invitato a Mosca alla fiera della non fiction del 5 dicembre. Io sono un appassionato di letteratura russa, ho scritto un romanzo su Dostoevskij e uno su Anna Achmatova che sono stati tradotti in russo per AST, e non riesco a dire quanto la cosa mi faccia contento. Uno di questi romanzi, quello su Achmatova, nel quale si parla anche dell’Ucraina, è stato censurato, parlerò anche di questo, a Mosca. Ma per il momento voglio esprimere la mia ammirazione e la mia riconoscenza agli scrittori russi, che per me, e per milioni di appassionati di tutto il mondo, restano un riferimento essenziale. A presto”.
E l’ho condiviso con Mondadori, che l’ha sottotitolato e l’ha caricato su Instagram e l’ho mandato alla mia redattrice russa che mi ha risposto che era un messaggio molto bello, ma che loro purtroppo non potevano diffonderlo e che se avessi voluto potevo magari registrarne un altro dove avrei potuto parlare della vita di Dostoevskij.
E io le ho risposto che io, nei messaggi che registro dico quello che voglio io, non quello che mi dice di dire la redattrice di una casa editrice.
E lei mi ha risposto che sperava che non mi fossi arrabbiato. E un po’ forse mi ero anche arrabbiato, effettivamente. Comunque niente.
Sono arrivato in albergo alle tre e mezza, mi sono addormentato alle quattro e mezza, mi sono svegliato alle otto e mezza poi tutto il giorno son stato stonato avevo sonno, secondo me.
C’era un bel sole, quel cielo limpidissimo che a me fa venire in mente quella poesia di Chlebnikov che dice “Poco, mi serve, una crosta di pane, un ditale di latte, e questo cielo, e queste nuvole”. E il Gostinyj dvor, dove sarebbe cominciata la fiera, da raggiungere a piedi con Google maps che funzionava male non era semplicissimo ma era vicino, son poi riuscito.
E ho partecipato a un dibattito e ho fatto delle interviste e alla fine di una delle interviste, per il canale Kul’tura, l’intervistatore, a microfoni spenti mi ha chiesto: “E allora, quando crolla la vostra civiltà?”.
E io, gli ho risposto: “Non lo so, la vostra quando crolla?”, e mi son poi reso conto che a una domanda non tanto intelligente avevo dato una risposta non tanto intelligente e gli ho chiesto “Ma lei, è mai stato in Italia?”.
E lui “Mai” mi ha risposto.
E io gli ho detto “Aaah. Ho capito”.
Poi sono andato nel più grande negozio di libri che c’è in Russia a cercare il manuale di Storia contemporanea in uso nelle scuole superiori russe e la prima cosa che ho visto un cartonato di Elon Musk a grandezza naturale che tiene in mano l’autobiografia di Elon Musk, e dopo ho trovato il manuale di Storia e ho trovato anche il mio libro su Anna Achmatova, quello che è stato censurato, e ho controllato se avevano messo, prima di tutto, la nota con la quale avvisavano i lettori russi che il libro era stato censurato che io avevo dei dubbi e l’avevano messa, bravi ragazzi, com’ero contento.
Dopo sono andato al centro della cultura orientale, dove c’era un incontro con i maestri della traduzione, mi ci avevano messo anche me, che dovevano parlare, cinque minuti ciascuno, del modo in cui la traduzione poteva facilitare l’amicizia tra i popoli, o qualcosa del genere.
Arrivare fin lì, di fronte alla Biblioteca Lenin, nel centro di Mosca, dietro al Cremlino, a piedi ci volevano dieci minuti ce n’ho messi quaranta, era tutto transennato, percorsi obbligati pieni di militari coi mitra in braccio però gentilissimi, uno mi ha visto che stavo guardando la mappa sul telefono, ero nella via giusta non trovavo il numero civico “Dove deve andare?”, mi ha chiesto, “In via Machovaja 6”, “Via Machovaja è questa”, mi ha detto lui, “Lo so”, gli ho detto io, “non trovo il numero civico”, “Il civico non lo so”, mi ha detto lui, con un tono come per dire ‘Non son mica un vigile urbano’ “Grazie molte”, gli ho detto io, con un tono come per dire ‘Non ti avevo mica chiesto niente’.
Dopo ho trovato, ho fatto un mio intervento brevissimo e poco sensato, ho letto una cosa che avevo già detto in settembre, mi sono scusato che avevo dormito poco e sono venuto via subito, e nel tornare in albergo ho pensato che una volta, anni Novanta, un romano ha aperto un ristorante italiano a Mosca e voleva chiamarlo “Vecchia Roma” e ha cercato sul dizionario e Roma si diceva “Rym”, e vecchia “Starucha”, e il ristorante l’ha chiamato “Starucha Rym”. Che va benissimo, solo che Starucha, è vero che vuol dire “vecchia”, ma non come aggettivo, che sarebbe “Staryj”, come sostantivo, vuol dire “Signora di una certa età”.
E il ristorante praticamente si chiamava “Signora di una certa età Roma” e quel ristoratore lì, ho pensato, senza bisogno di nessun traduttore ha trovato, per il suo ristorante, un nome stupefacente, memorabile, non son così sicuro, ho pensato, che siamo tanto necessari, noi traduttori.
E il giorno dopo ho dormito, mi sono riposato, ho fatto il check in per il ritorno e ho imparato a usare il Vpn che poi alla sera ci sarebbe stata Inter-Parma, la prima volta, nella mia vita, che avrei visto una partita del Parma in Russia, e poi fare la valigia che la notte sarei tornato in Italia e poi da Malpensa direttamente a New York, che son dei giorni che mi chiedo se lo fanno entrare, a New York, uno che viene dalla Russia, chissà, e se non mi fanno entrare e mi mandano indietro sai cosa faccio io? Torno indietro.