Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  dicembre 10 Martedì calendario

Stroncatura della Gabanelli

Ieri Milena Gabanelli, sul «Dataroom» di un quotidiano molto diffuso, si è fatta una domanda e si è data una risposta: entrambe sbagliate, a nostro (...)
(...) dire. La collega, in sintesi, si è chiesta di quale mancanza di libertà vadano cianciando i leader della destra mondiale (da Trump a Le Pen alla Meloni) e soprattutto quale comunismo vadano additando quando sono proprio loro che, da destra e qui cominciano le forzature, anche ridicole su un piano giornalistico e politico, hanno rapporti con Putin, Orbán e il cinese Xi Jinping: dopodiché sono quest’ultimi tre, a loro volta, che, tra divieti o forti limitazioni, inibiscono o vietano le libertà di associazione, stampa, espressione, accesso a internet, indipendenza della magistratura e matrimoni omosessuali. Per proprietà estensiva, dunque, sarebbero i leader della destra europea (più Trump) i veri liberticidi, coloro che agitano lo spettro del comunismo come uno spauracchio. 
Ora: l’errore più grave sarebbe accettare lo stesso schema «insemistico» di Milena Gabanelli e mettersi a spiegare perché il mantenere rapporti diplomatici con Viktor Orbán, che è a capo di uno Stato dell’Europa comunitaria, non sia lo stesso che averne con la Cina, oppure con Putin, o perché infilare Meloni e Salvini tra coloro che «non disdegnano Putin e Xi Jinping» (sottotitolo della Gabanelli) sia forzato a dire poco. Allo stesso modo lo sarebbe chiedersi, a proposito di schematismi, come mai Milena Gabanelli non abbia contemplato i rapporti delle destre e delle sinistre con un tema che spartisce molto con il concetto di «libertà»: Israele, i pro Pal, Hamas, la democrazia, l’islamismo, queste piccolezze. Ma non è il caso di inciampare in questo discorso anche se, da solo, basterebbe: non sono certo le destre indirettamente a «non disdegnare» (secondo lo stesso schema della Gabanelli) la negazione della parità di genere, dell’eguaglianza, dell’ammettere le pene corporali e del contemplare la sottomissione dell’infedele. 
Un secondo errore da non fare (ma la Gabanelli lo fa) è insegnare a dei
politici che hanno vinto come dovrebbero fare i loro comizi: se, dal Berlusconi del 1994 in poi, altri leader hanno effettivamente usato l’espressione «comunisti» per interagire con milioni di persone (esclusi noi superiori, che abbiamo studiato Marx e Engels) significa che, forse, sapevano quali corde andavano a toccare: che non erano la collettivizzazione dei mezzi di produzione, ma era il subodore di qualcosa di comunque calato dall’alto su un fronte politico, economico e culturale. 
E qui veniamo, nel nostro piccolo, a ciò che il «Dataroom» di Milena Gabanelli non ha contemplato per niente: i consensi che le becere «Destre delle libertà» (e i loro oscuri leader tacciati di fascismo) hanno ottenuto da gente che storicamente non doveva votarle, dagli operai al neo-proletariato alle minoranze etniche. Veniamo, ossia, a una sinistra che è passata dalla tutela dei diritti alla dittatura delle minoranze: questo, almeno, nella percezione comune di gente che accetta addirittura che si dica ancora «comunista» per denominare degli oligopoli culturali ed economici; veniamo, dicevamo, alla pretesa di moraleggiare e neutralizzare ogni dibattito attraverso una cultura del politicamente corretto (o woke) che stabilisce quello che si possa o non si possa dire anche a proposito di realtà che tagliano il vivere quotidiano come un coltello: l’immigrazione, il multiculturalismo, la segregazione sociale, il welfare declinante di uno Stato-madre che non c’è più, il celeberrimo Paese reale in cui sopravvivono interpretazioni del reale delle quali, «dall’alto», non si ha più idea, né soluzioni da proporre. Veniamo, insomma, a un becero «populismo» che è pur sempre votato da un popolo, che tanto libero, forse, non si sente