Il Messaggero, 10 dicembre 2024
Ruffini e il "salto" in politica come leader centrista
Benigno Zaccagnini diceva che «la politica è un salto». E aveva ragione: è un salto in alto (scendere in politica: che brutta espressione!) e un salto in lungo, quando la si concepisce come si deve. Cioè come un impegno per il bene comune, non come un atto di presenza o di presentismo, ma come una responsabilità che si prende per costruire il futuro. Per una politica così intesa, sembra davvero pronto Ernesto Maria Ruffini, che prima il Messaggero poi altri giornali indicano come probabile punto di riferimento del mondo cattolico ma non solo cattolico che si pone al centro, per far interagire senza sudditanza i riformisti con il campo della sinistra che è troppo schleinerianamente di sinistra mentre molti moderati non vanno più a votare perché non trovano chi li rappresenti. Ruffini, ora direttore dell’Agenzia delle Entrate, scelto al tempo del governo Renzi ma confermato anche da Meloni, ha fatto capire a tutti – nell’evento organizzato ieri per lui dagli ex Margherita, Guido D’Ubaldo e Giuseppe Fioroni alla Lumsa – che il salto lo farà al tempo giusto e nei modi adatti. Ora confida agli amici, e nelle prime file ce ne sono di pregiatissimi e molto ascoltati come Bruno Tabacci, che la prospettiva è quella del «salto» e loro sono pronti quanto lui sapendo la stima che Ruffini riscuote in ogni ambito di qua e di là del Tevere e nel mondo istituzionale e delle grandi competenze repubblicane – basti pensare che il suo ultimo libro porta la prefazione del presidente Mattarella e un volume precedente ha l’introduzione di Romano Prodi – e anche presso tante realtà dell’Italia profonda che questo civil servant frequenta portando in giro il suo saggio «Uguali per Costituzione», sottotitolo: «Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 a oggi», di cui il Capo dello Stato dice: «È un libro che ci invita a fidarci del futuro». Se ben arato e poi seminato, naturalmente. Insomma? Già la presenza di padre Francesco Occhetta, sublime gesuita, uno dei pensatori più profondi del mondo cattolico attuale, e amico di Ruffini, dà la misura della serietà del discorso. Ruffini è dunque pronto all’impegno? Ironizza: «Per il salto ho qualche problema, visto che mi fa male il menisco». Ma si sa come sono fatti i cattolici, un po’ dissimulano. E lui si lamenta per la, non richiesta affatto, sovraesposizione mediatica: «La politica non va intesa come un talent show. O come un gioco di società. Ed è anche sbagliata l’idea che possa esserci un salvatore della patria o di una parte politica. Io non sono un salvatore». Quindi niente salto zaccagniniano? Il salto c’è, eccome, ma guai a stressare le intenzioni: «Il Paese appartiene a tutti e siamo tutti chiamati ad occuparcene. Non bisogna restare seduti e fare da spettatori. Questo è un lusso che non ci si può permettere, se si vuole bene al Paese».Discorso generale, certo, ma basta essere un po’ edotti di linguaggio politico e conoscere le vere culture politiche, per arrivare a dire che Ruffini nel campo sta per arrivare. E se poi questa sua scelta importante, meditata e molto concepita come sforzo collettivo e non personalistico, e fondata anche su una professionalità da tutti riconosciutagli (basti pensare che, secondo quanto scrisse il quotidiano Il Domani, Renzi si disse disponibile a non far cadere il governo Conte 2 se Ruffini fosse nominato ministro dell’Economia), dovesse portare anche subito la destra di governo a rimuoverlo dal suo incarico all’Agenzia delle Entrate, l’ipotesi viene messa nel conto.Il dramma dell’astensionismo che riguarda anche i moderati che cercano un testo nel contesto e non lo trovano, come fanno notare Fioroni e D’Ubaldo, e Occhetta e la neo-presidente regionale umbra, Stefania Proietti, cattolica molto acclamata in questa platea di cattolici (occhio a Angelino Sanza e a Giuseppe Sangiiorgi, tra gli altri), ha molto a che fare con l’impegno di Ruffini.Il quale, citando continuamente Aldo Moro, sembra avere le idee molto chiare. «Serve un metodo» ed è questo: basta con le inutili divisioni «tra Guelfi e Ghibellini» e a «urlare gli uni contro gli altri». Oltre il metodo, la ricetta: «Nessuno ha quella perfetta. Si fa tutti insieme». E «chi ha desiderio di impegno», qui la citazione è di don Primo Mazzolari, «si collochi non a destra, a sinistra o al centro, ma in alto». Per fare grandi cose. Il senso della sfida c’è tutto, lo spazio pure, ma poi si vedrà. Si aspettano intanto le reazioni del fronte meloniano.