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 2024  dicembre 10 Martedì calendario

Sulla via di Damasco accadono miracoli

Sulla via di Damasco, ogni tot millenni, capitano miracoli. Per esempio, cambi di nome per cambiarti la vita. È il caso di Abu Muhammad al Jolani, nome di battaglia dell’emiro al comando della milizia jihadista Hts, ovvero Hayat Tahrir al Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante), appena insediato nella capitale della Siria alla testa d’una variegata alleanza anti-Assad impegnata a sopravvivere alla vittoria sul dittatore.Dove la denominazione al Jolani segnala ispirazione-aspirazione al Golan siriano annesso da Israele, geopoliticamente scorretta per chi intende convincere noi occidentali della sua conversione ai nostri canoni. Sicché decide di ridiventare Ahmad Husayn al Shara, suo vero nome.Ahmad è rampollo di buona famiglia panarabista e laica, cresciuto in agiato ambiente damasceno, poi attratto dall’islamismo qaedista. Catturato dagli americani in Iraq quindi liberato per buona condotta. Fino a novembre titolare della sacca di Idlib sotto controllo turco, oggi aspirante capo di uno Stato che da tempo non esiste più e che al Shara vorrebbe riunificare sotto la sua guida.Oltre a “ribattezzarsi”, al Shara deve convincere americani, britannici, europei, russi e quanti altri – financo l’Onu – iscrivono la sua squadra nella lista nera dei gruppi terroristi di avere davvero abdicato al jihadismo globale per abbracciare un islamismo nazionalista e moderato. Di qui la rassicurante intervista allaCnn, la promessa di aprirsi al dialogo con tutti e di non obbligare le donne a portare il velo (l’intervistatrice della tv americana per non sbagliarsi ne esibiva una versione contenuta).In realtà il problema, non solo semantico, è semmai dei governi occidentali e di altri Paesi più o meno plaudenti all’impresa dei “terroristi” di Hts quali liquidatori di uno dei più crudeli regimi mediorientali. In quanto eversori del cattivo senza virgolette assurti a “buoni”, nel confortante paradigma bianco/nero cui la comunicazione corrente reale ci ha assuefatto. Come spesso capita, i pragmatici inglesi ci aprono la via preannunciando la cancellazione di al Shara e seguaci dal catalogo dei “cattivi”. A nostro modo, con calma, dovremmo convertirci anche noi, sempre che la prassi dei conquistatori di Damasco si avvicini alle garanzie offerte ai siriani e al mondo. In alternativa, infischiarcene delle definizioni e stabilire che ci sta bene uno Stato a guida terrorista. Non sarebbe la prima né l’ultima volta.Qui però finiscono i giochi onomastici e si sbatte contro le durerepliche dei fatti. La Siria non esiste. Se vuole intestarsi la guida della nazione, al Shara deve ricrearla. Riunificando il frammentatissimo fronte interno radicato in comunità locali gelose della propria autonomia. Inoltre la maggioranza arabo-sunnita convive con minoranze etniche e religiose che ne temono l’egemonia, tanto da essersi spesso adattate alla tirannia degli Assad quale presunto male minore: oltre agli alawiti cuore del regime, sciiti, cristiani, ismailiti, più curdi e drusi di vario o nessun credo. Dopo di che occorrerebbe convincere turchi, russi, americani e israeliani a evacuare spazi nominalmente siriani cui sembrano affezionati o hanno annesso (Gerusalemme ha allargato il suo Golan al versante siriano dello strategico Monte Hermon). E respingere eventuali ritorni di fiamma dell’Iran, grande perdente di questa partita. Vasto programma, da far logicamente precedere dall’assorbimento o dalla neutralizzazione delle altre milizie sunnite, non solo jihadiste, attive in diverse aree delle Sirie. Oltre al dimenticato ma persistente Stato Islamico, che legittima la presenza di truppe americane in loco.Intanto un miracolo è già agli atti. Un’armata abbastanza raffazzonata ha spazzato via il regime della famiglia Assad dopo oltre mezzo secolo di dominio. Alcune migliaia di combattenti islamisti hanno impresso un’inedita direzione alla geopolitica mediorientale e mondiale. Sul piano regionale, la batosta potrebbe spingere l’Iran a dotarsi presto dell’arma atomica, visto che il suo corridoio imperiale Herat-Beirut via Teheran, Bagdad e Damasco perde uno snodo decisivo. Israele si rallegra della sconfitta iraniana, anche se la pressione islamista alla frontiera nord-orientale non lo tranquillizza, tantomeno la prospettiva di perdere il monopolio della Bomba in Medio Oriente. Intanto la Turchia sente approssimarsi la vittoria contro i curdi che ne contestano il controllo di una sempre più ampia fascia dell’ex Siria settentrionale, da trasformare in una Cipro Nord domani, poi in provincia turca.Su scala mondiale, si tratta di stabilire quanto inciderà sulla postura russa la caduta di un regime amico e utile come quello degli Assad, coltivato in epoca sovietica, riscoperto per aggirare la Nato da sud e connettersi al Mediterraneo e all’Africa. A conferma che conflitti mediorientali e guerra d’Ucraina partecipano della medesima equazione. Quanto basta perché il Paolo già Saulo giunto a Damasco passi alla storia.