Corriere della Sera, 10 dicembre 2024
Negli archivi del regime siriano: decenni di segreti
Un lungo regno quello degli Assad, decenni di dittatura e di segreti. Che potrebbero riemergere dagli archivi del regime, sempre che i soldati non siano riusciti a triturare o incenerire i file più compromettenti.
Domenica i ribelli hanno iniziato a liberare le centinaia di prigionieri detenuti in condizioni spaventose e chissà che adesso non cerchino documenti negli armadi delle intelligence. Al plurale. Sì, perché i lealisti avevano creato diversi apparati di sicurezza, un modo per aumentare il controllo sugli oppositori ma anche perché volevano evitare che un unico «servizio» potesse diventare troppo potente. E dunque di «cose» da scoprire ve ne sono tante, molte legate a quanto avvenuto in Medio Oriente negli ultimi 50 anni.
Partiamo da lontano. I militari siriani hanno dato ospitalità ad alcuni gerarchi nazisti fuggiti dopo la fine del conflitto mondiale, una presenza incarnata da Alois Brunner, un ufficiale che offrirà la sua consulenza «in torture» e sarà preso di mira anche dal Mossad con un plico-bomba. Su questa colonia è già uscito tanto ma potrebbero esserci nuovi dettagli. Sempre Israele cercherà di avere notizie su dove siano stati sepolti i resti di Eli Cohen, la spia del Mossad impiccata nel 1965 che riuscì ad infiltrarsi ai massimi livelli dello Stato siriano. Negli anni scorsi gli israeliani hanno ingaggiato dei ribelli nella speranza di trovare la tomba.
Nelle casseforti governative possono esserci dettagli sulla guerra libanese, sugli omicidi di personalità politiche – dai cristiani all’ex premier sunnita Hariri —, sugli attentati, sugli occidentali rapiti e mai tornati, su trame d’ogni genere. Gli Assad hanno accolto fino alla metà degli anni ’90 il terrorista venezuelano Carlos che abitava insieme alla moglie e al suo braccio destro nella capitale. Poi lo manderanno via cercando di appiopparlo a Gheddafi e per l’assassino a pagamento mascherato sarà la fine. Infatti, i francesi, con l’aiuto della Cia, lo prenderanno in Sudan.
Si sono incamminati sulla via di Damasco gli estremisti giapponesi dell’Armata Rossa, gli armeni dell’Asala, il palestinese George Habbash e diversi capi di fazioni palestinesi. Alcuni sono stati usati per operazioni «sporche», altri ancora si sono messi a disposizione senza dichiararlo apertamente. E lungo questi sentieri sono arrivati militanti della lotta armata europei.
Gli 007 siriani – in particolare quelli dell’aviazione – sono stati chiamati in causa per legami con attacchi terroristici in Occidente, per i rapporti con frange radicali, per sabotaggi ad aerei e casi mai pienamente risolti. Come Lockerbie. Forse ci sono le prove della loro responsabilità o della loro innocenza.
Le storie coperte dalla polvere sono mescolate ad altre che si sono allungate fino ad epoche recenti. Il rapporto con l’Hezbollah libanese che qui aveva la sua base «esterna», le relazioni complesse con i pasdaran della Divisione Qods. Erano alleati ma, al tempo stesso, temevano piroette: dopo una serie di omicidi-mirati condotti dagli israeliani è nato forte il sospetto tra gli iraniani che i traditori fossero dei siriani. E sarebbe interessante vedere se esistono dettagli sul patto con Mosca, le sponde con altri regimi, le amicizie con politici di Paesi ostili alla Siria. Tra i visitatori speciali anche Tulsi Gabbard, la parlamentare americana appena designata da Trump come responsabile dell’intelligence Usa e a rischio nomina proprio per questi viaggi.
Negli ultimi anni diversi governi occidentali e arabi hanno riaperto il dialogo con Assad, diventato di nuovo «potabile». Canali riservati per avere informazioni su elementi sospetti, per rilanciare le relazioni, per cercare di allontanarlo da Teheran. Emirati, sauditi, giordani, egiziani si sono adoperati per ottenere un cambio – con le monarchie del petrolio disposte a offrire investimenti – ma il dittatore ha detto di no convinto che lo scudo russo-iraniano fosse il migliore. E si è sbagliato, nonostante l’esercito di spie