Il Messaggero, 9 dicembre 2024
I rifugiati in Europa ora festeggiano
La stessa parola gridata mille volte ieri in Europa, in Inghilterra, in Francia, in Germania, a Trafalgar Square, in place de la République, a Kreuzberg: «Mabruk!», libertà. Sulle spalle, la stessa bandiera, quella della rivoluzione siriana, con le tre stelle rosse, le tre stelle che per quindici anni sono state il segno dell’opposizione al regime di Bachar al-Assad, un segno di lotta e speranza per i circa 13 milioni di siriani, (oltre il 60 per cento della popolazione) rifugiati, profughi, o sfollati nel loro paese. Oltre 1,8 milioni hanno trovato rifugio in Europa. A loro si sono rivolti ieri gli uomini dell’Hayat Tahrir al-Sham dopo la presa di Damasco: è il momento di tornare, l’esilio è finito. Anche se le prime voci si levano per mettere in guardia: la dittatura sanguinaria di Assad è caduta, ma cadrà «sulla testa del popolo?», come scriveva già ieri lo scrittore franco-algerino Kamel Daoud, neo vincitore del premio Goncourt col suo ultimo romanzo “Houris": «Non possiamo restare insensibili a questa emozione, perché ravviva il sogno politico millenario del mondo arabo: un giorno saremo liberi, un giorno saremo felici, ma nel cuore di questo entusiasmo c’è una crepa: la rivolta è ancora una volta “islamica”...La Siria continua a portare lo stesso messaggio preoccupante e discreto: nel mondo cosiddetto arabo, quello che dovrebbe cambiare, è l’idea stessa di cambiamento. Oggi, se non sei islamico, non sogni che una cosa, fuggire in Germania e in Occidente». Sono le incognite che fanno temere possibili nuove ondate migratorie. Quasi certe, con Assad. Ora da valutare. Dipende da quale piega predenderà adesso Damasco. Si vedrà. Ma ieri le folle di siriani costretti a lasciare tutto anni fa, gridavano solo «Siria libera», «Mabruk». Da Damasco è arrivato l’appello dei ribelli che hanno aperto la prigione di Sednaya, il «mattatoio» di Assad, un appello rivolto ai siriani della diaspora: «Dopo cinquant’anni di oppressione sotto il regno del partito Baas e tredici anni di crimini, tirannia, sfollamenti, annunciamo la fine di questa era oscura e l’inizio di un’epoca nuova per la Siria. Tornate nella Siria libera». L’appello è arrivato soprattutto in Europa. In Germania, che ha accolto il maggioro numero di rifugiati, dopo il famoso «ce la faremo» di Angela Merkel: oggi sono 1,3 milioni i siriani che hanno ottenuto l’asilo. Segue la Svezia (120 mila) poi la Francia (110 mila) e la Grecia (90 mila). In Italia i rifugiati siriani sono circa 40 mila. Nel 2015 l’allora Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite Antonio Gutierres definiva la crisi dei rifugiati siriani come «la più importate situazione d’urgenza umanitaria della nostra epoca». L’urgenza è finita? Ancora nel 2023, i siriani restano il gruppo più importante a chiedere la protezione internazionale nell’Unione europea. In oltre 180 mila (contro 120 mila nel 2022) hanno presentato una richiesta, in 120 mila hanno ricevuto risposta positiva. Sono pronti per tornare a casa?A Parigi, il “Daily sirien” è un minuscolo, delizioso ristorante sul Faubourg Saint-Denis, dietro la gare de l’Est. Tutto il cibo è fresco, panini ai falafel che vano a ruba, ci si siede intorno a un unico grande tavolo di legno, conviviale. Ieri diversi cronisti erano venuti a prendere il polso della situazione della comunità. Il cuoco Alani, da cinque anni in Francia, non ha che un desiderio, tornare: «Voglio rivedere la mia famiglia, i miei cugini, i miei amici. Loro sono rimasti tutti», diceva ieri alla radio France Info. Idem Hassan, proprietario di un altro ristorante, lo Shawarma lovers, costretto a lasciare tutto dodici anni fa. «Non ho mai più rivisto mia madre, ho lasciato anche una sorella piccola, adesso si è sposata». Ha cominciato a guardare subito i prezzi dei voli e aspetta il visto: «Non posso entrare in Giordania, ho bisogno di un visto perché non ho un titolo di viaggio in Francia». Per ora il momento è quello della gioia. Tra i manifestanti in place de la République, Meyer riassumeva gridando il sentimento di tutti: «Scoppiamo di gioia, questa gioia rompe tutto, abbatte i muri, viene fuori da sola». Accanto a lui, più ragionevole, Mohamad pensa «che la situazione non sarà subito stabile in Siria. Intanto assaporiamo questo momento, tutti i morti, le bombe, la guerra, non sono stati per niente»