Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  dicembre 09 Lunedì calendario

Alberto Mattioli alla Prima della Scala

«La forza del destino» della Scala ha fatto buoni ascolti: un milione e 603 mila spettatori, share del 10,2 per cento. Per ragionarci, bisogna conoscere i numeri dal 2016, quando Rai Cultura ha riportato la Prima in prima serata su Rai1. Eccoli: nel’16, “Madama Butterfly”, share del 13,49; nel’17, “Andrea Chénier”, 11,1; nel’18, “Attila”, 10,8; nel’19, “Tosca”, record con 15 (il titolo aiuta); nel’20, “A riveder le stelle” (niente opera vera a causa del Covid), 14,7; nel’21, “Macbeth”, 10,5; nel’22, “Boris Godunov”, 9. 1; nel’23, “Don Carlo”, 8, 4. Tre considerazioni.Numero uno. Sui social, i melomani sbeffeggiano la coppia Carlucci & Vespa. Non posso dire la mia perché ero in teatro e non davanti alla tivù. Ma che Vespa abbia chiamato “Petrosilla” (più volte, pare) un personaggio che è in realtà Preziosilla non è più grave di un quotidiano ex prestigioso che l’ha definita “Petronilla”, come la pentola.Il punto è che se metti l’opera in prima serata, e su Raiuno che ha il pubblico più anziano e meno acculturato, devi aiutarla con qualche volto noto ai cari vecchietti. Infatti fra le 17, 44 e le 18, quando l’opera è stata presentata, lo share è risultato perfino più alto: 14, 5%. Che C&V piacciano più di Verdi è raccapricciante ma non sorprendente. Semmai, la Rai dovrebbe individuare e far crescere qualche divulgatore in grado di aiutare gli spettatori a capire la complessità e la bellezza dell’opera senza banalizzarla. Ma più in là che dare programmi (che poi vanno malissimo) ad amici, amichetti, soci, sodali e camerati vari, gli attuali gestori non vanno, il che spiega perché la divulgazione culturale di successo la faccia La7, vedi Augias e Cazzullo.Due. Poiché l’opera inaugurale non viene vista soltanto da duemila happy few che per lo più non ci capiscono alcunché ma da un altro milione e mezzo di italiani, sarebbe bene tenerne conto nel metterla in scena. Finora, l’unico che l’ha capito è Davide Livermore, regista delle prime dal’18 al’21 compreso.I numeri, come si vede, gli hanno dato ragione. Soprattutto, poiché l’opera lirica è un patrimonio nazionale e viene pagata con le sue tasse anche da chi non ci va, “pensarla” anche per il pubblico di casa è un dovere e ha un valore sociale, pedagogico e perfino, scusate la parolaccia, morale. Le critiche più feroci a Livermore sono arrivate infatti dalla sinistra Ztl, il che spiega perché continuerà a perdere elezioni fino all’anno tremila. Tre. Nella grottesca polemica sulle regie “moderne”, uno degli argomenti dei “tradizionalisti” (d’accordo, sono definizioni che fanno ridere, ma le usiamo per comodità) è che il pubblico neofita nulla capisce se non si seguono pedissequamente le didascalie e le ambientazioni storico-geografiche dei libretti. Premiando gli spettacoli teleoperistici e tutt’altro che “tradizionali” di Livermore, i dati dimostrano esattamente il contrario. Per trovare un pubblico nuovo bisogna far sì che in quelle vicende si immedesimi, le senta sue, anche nell’ambientazione: fargli capire che parlano di lui. Il destino ha molta forza. Ma anche i numeri non scherzano