La Stampa, 9 dicembre 2024
Alberto Mattioli alla Prima della Scala
«La forza del destino» della Scala ha fatto buoni ascolti: un milione e 603 mila spettatori, share del 10,2 per cento. Per ragionarci, bisogna conoscere i numeri dal 2016, quando Rai Cultura ha riportato la Prima in prima serata su Rai1. Eccoli: nel’16, “Madama Butterfly”, share del 13,49; nel’17, “Andrea Chénier”, 11,1; nel’18, “Attila”, 10,8; nel’19, “Tosca”, record con 15 (il titolo aiuta); nel’20, “A riveder le stelle” (niente opera vera a causa del Covid), 14,7; nel’21, “Macbeth”, 10,5; nel’22, “Boris Godunov”, 9. 1; nel’23, “Don Carlo”, 8, 4. Tre considerazioni.Numero uno. Sui social, i melomani sbeffeggiano la coppia Carlucci & Vespa. Non posso dire la mia perché ero in teatro e non davanti alla tivù. Ma che Vespa abbia chiamato “Petrosilla” (più volte, pare) un personaggio che è in realtà Preziosilla non è più grave di un quotidiano ex prestigioso che l’ha definita “Petronilla”, come la pentola.Il punto è che se metti l’opera in prima serata, e su Raiuno che ha il pubblico più anziano e meno acculturato, devi aiutarla con qualche volto noto ai cari vecchietti. Infatti fra le 17, 44 e le 18, quando l’opera è stata presentata, lo share è risultato perfino più alto: 14, 5%. Che C&V piacciano più di Verdi è raccapricciante ma non sorprendente. Semmai, la Rai dovrebbe individuare e far crescere qualche divulgatore in grado di aiutare gli spettatori a capire la complessità e la bellezza dell’opera senza banalizzarla. Ma più in là che dare programmi (che poi vanno malissimo) ad amici, amichetti, soci, sodali e camerati vari, gli attuali gestori non vanno, il che spiega perché la divulgazione culturale di successo la faccia La7, vedi Augias e Cazzullo.Due. Poiché l’opera inaugurale non viene vista soltanto da duemila happy few che per lo più non ci capiscono alcunché ma da un altro milione e mezzo di italiani, sarebbe bene tenerne conto nel metterla in scena. Finora, l’unico che l’ha capito è Davide Livermore, regista delle prime dal’18 al’21 compreso.I numeri, come si vede, gli hanno dato ragione. Soprattutto, poiché l’opera lirica è un patrimonio nazionale e viene pagata con le sue tasse anche da chi non ci va, “pensarla” anche per il pubblico di casa è un dovere e ha un valore sociale, pedagogico e perfino, scusate la parolaccia, morale. Le critiche più feroci a Livermore sono arrivate infatti dalla sinistra Ztl, il che spiega perché continuerà a perdere elezioni fino all’anno tremila. Tre. Nella grottesca polemica sulle regie “moderne”, uno degli argomenti dei “tradizionalisti” (d’accordo, sono definizioni che fanno ridere, ma le usiamo per comodità) è che il pubblico neofita nulla capisce se non si seguono pedissequamente le didascalie e le ambientazioni storico-geografiche dei libretti. Premiando gli spettacoli teleoperistici e tutt’altro che “tradizionali” di Livermore, i dati dimostrano esattamente il contrario. Per trovare un pubblico nuovo bisogna far sì che in quelle vicende si immedesimi, le senta sue, anche nell’ambientazione: fargli capire che parlano di lui. Il destino ha molta forza. Ma anche i numeri non scherzano