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 2024  dicembre 09 Lunedì calendario

Crosetto commenta la caduta di Damasco


«Assad è caduto. In modo repentino, come in Afghanistan».Come se lo spiega?«È l’effetto di quanto accaduto non negli ultimi giorni, ma anni: l’indebolimento dell’Iran, dei suoi proxy, in primis Hezbollah, e della Russia, alle prese con il fronte ucraino».La caduta di Assad può diventare un’opportunità o c’è il rischio di una maggiore destabilizzazione?«Si apre una transizione difficile e piena di incognite: da un lato, ribelli vittoriosi già spaccati in fazioni, dall’altro la volontà di ripristinare un sistema democratico. Ma anche divisioni nel mondo arabo, estremisti che si odiano tra loro, tensioni sui confini: Libano, Iraq, Israele, Arabia Saudita, che non è confinante ma vicina e Turchia».La Turchia è il vincitore, che cosa farà Erdogan?«Erdogan ha in mano un risultato che persegue da anni, ma non pensava così vicino. E ora aumenta il suo potere di aprire e chiudere i rubinetti verso la Ue».Teme ondate di profughi, modello 2015?«È un’ipotesi, con una Ue ben più debole di allora. La Merkel fu costretta a riempire di soldi la Turchia per chiudere i rubinetti. Oggi la Germania è un Paese che va al voto nell’incertezza politica, ha cambiato in toto le scelte sull’immigrazione illegale ed è in balia alla crisi industriale più devastante dal dopoguerra».Anche l’Ue è più debole data la fragilità dell’asse franco-tedesco.«L’Ue è debole per molte cose, in primis la crisi economica. E la vittoria di Trump la mette, in modo impietoso, di fronte al nanismo politico da cui è affetta da decenni: non ha ruolo nel mondo ed è afona su ogni tema o crisi internazionale. Parlano, semmai, le singole nazioni, per conto loro e spesso in modo diverso».Tornando alla Siria?«Questo contesto regala potere a Erdogan. Un pragmatico. Potrebbe non accontentarsi più di aiuti economici, ma sfruttare la fragilità Ue per puntare all’ingresso in Europa. Per la Turchia, una rivoluzione: stabilità monetaria e prospettive enormi per l’industria, ma con un impatto negativo, di pari entità, sull’industria Ue».Il collasso siriano avrà un effetto domino sul Libano?«Il Libano è in condizioni disperate da tempo. Col collasso della Siria e la crisi di Hezbollah, innescata dalla guerra di Israele il quadro peggiora. E noi dobbiamo difendere, senza mollare di un punto, la tregua a Sud o rischiamo scenari apocalittici».Lei è stato in Libano, dove c’è il contingente Unifil. Che intende con “cambiare le regole di ingaggio”?«Ho portato lo Stato italiano, lì dove i nostri soldati non possono neppure uscire dalla loro base. Le regole d’ingaggio vanno cambiate: che non ci deve essere una sola arma di Hezbollah nella zona blu o lo garantisce la coalizione Onu o Israele coi carri armati. Lo dico, inascoltato, da mesi, ma ora nessuno può più far finta di non vedere».Quale impatto avrà la vicenda siriana su Putin, il vero sconfitto?«Ha perso un asset strategico che gli consentiva di muoversi nel Mediterraneo come se fosse un mare russo. La guerra in Ucraina lo sta impegnando ben più di quando sostiene la propaganda russa. E, infatti, non è stato in grado di sostenere Assad contro i ribelli».Le elezioni cancellate in Romania squadernano, ancora una volta, il tema della guerra ibrida verso l’Occidente?«Il fronte occidentale è quello dove Putin sta vincendo di più sul terreno della guerra ibrida. Vale anche per la Cina. E nella totale incapacità occidentale di rendersene davvero conto».Romania, i soldi in Moldovia nel voto anti-Ue, le elezioni in Georgia, il processo a Londra su una cellula di infiltrati...«C’è una evidente sottovalutazione della guerra ibrida: cyber, disinformazione, creazione di mood diffusi e sotterranei di cui tutti noi siamo preda senza accorgercene. Una guerra vera fatta di investimenti e professionisti. Ma non lo capiamo. Se avessimo mandato 10 mila polacchi sul fronte ucraino, si sarebbe detto: “Che schifo, la Nato vuole la guerra!”. Arrivano 10 mila nordcoreani per Putin e sembra siano in gita. Putin ha vinto. Sto pensando ad una struttura ad hoc per il contrasto alla guerra ibrida. Dobbiamo rispondere, alla propaganda, con la verità».Quella di Salvini sulla Romania è propaganda filo-russa?«Assolutamente no, Salvini è filo Italia».Come Italia, siamo il ventre molle del fronte occidentale?«No, lo è la nostra cultura occidentale, naif, nell’approccio a tali temi. I fatti. In Russia si è decuplicata la produzione di armi e di missili intercontinentali, che non servono in Ucraina. Il governo svedese ha inviato un opuscolo a tutti i cittadini con le regole, in caso di attacco russo. Vi è scritto che “quando”, non “se”, ci sarà l’invasione, “loro vi diranno che ci siamo arresi, ma non credeteci”. I tedeschi invitano a costruire bunker, anche i privati».Condivide l’allarme?«Sono meno pessimista ma questo è il mondo in cui siamo: Putin pensa oltre l’Ucraina. Io, come ministro alla Difesa, e noi come nazione, dobbiamo impedire ad ogni costo una nuova guerra».Però si baccaglia sul 2% del Pil alle spese militari e Trump minaccia di uscire dalla Nato.«Mi sono stufato di confrontarmi su tali temi come se fosse una richiesta “bellicista”. Per Trump chi non contribuisce se ne deve andare o se ne andrà lui. Sono due anni che la Nato parla di 2,5 o 3. L’Italia deve affrontare seriamente il tema e non nascondersi dietro presunti “obblighi” perché lo chiede la Nato o Trump. Noi dobbiamo difendere l’Italia, preparati ad affrontare crisi anche dure».Cioè?«Se arrivasse un attacco missilistico come quello su Israele? Che accadrebbe? C’è bisogno di altri segnali per capire che dobbiamo difenderci? Sono stufo di questa discussione dove si dice che ogni soldo alla difesa lo si toglie agli ospedali o alle scuole. Se non si difende la democrazia non ci sono ospedali, scuole, musei».Sta parlando anche ai suoi?«Italia e Spagna sono gli unici Paesi in ritardo sul 2 per cento. Il mio Governo, ad oggi, è l’unico che, in sede Nato e Ue, non ha nascosto le difficoltà, anzi ha chiesto di rivedere il patto. Finora non ho alzato i toni, ma i tempi lo impongono. Dobbiamo difenderci. E se mi sarà impossibile farlo, in futuro, per mancanza di risorse o interventi legislativi che reputo fondamentali, di certo non lo accetterò in silenzio. L’Europa dove scorporare le spese di difesa dal patto di stabilità, ma se non lo facesse, dovremo comunque decidere di investire di più, più velocemente possibile».Ora però al governo Ue ci siete anche voi, ma non avete impresso svolte su una politica estera e una difesa comuni.«Iniziamo ora con Fitto. La Ue è la grande addormentata nel bosco. Non più giovane e bella, ma stanca e poco attraente. È l’Europa delle burocrazie, in mano a gente mai uscita dal raccordo anulare di Bruxelles. Vale su difesa, industria, immigrazione e sul il suo dogmatismo sul green che ha causato la crisi dell’automotive. Avanti così e Trump, col suo approccio sulla deregulation, ci travolgerà come uno tsunami».L’Europa è afona pure sull’Ucraina. Oltre al sostegno militare, non dovrebbe accelerare sul suo ingresso nell’Ue per mettere Zelensky nelle condizioni di negoziare?«Da due anni, chiedo all’Europa un impegno maggiore nell’azione diplomatica e un percorso parallelo per la ricerca della pace e del ripristino del diritto internazionale. L’unica accelerazione c’è stata sull’industria della difesa. Che, però, è uno strumento, non il fine».Se lasciato solo, Zelensky potrebbe compiere gesti estremi verso Mosca?«Non si è mai sentito solo. Semmai ha capito che i suoi alleati non coglievano appieno il senso del dramma del popolo ucraino e la necessità di più velocità negli aiuti».Decreto armi e aiuti. Teme distinguo nella maggioranza?«No, la posizione italiana è seria, inattaccabile. Lo rimarrà».