la Repubblica, 9 dicembre 2024
Il movimento prigioniero di un faccione
Espulso dal movimento che ha fondato, Beppe Grillo vuol portarsi sul carro funebre il simbolo e il nome non perché davvero creda che le “5 stelle”, da sole, varrebbero alle elezioni il tre per cento, come sostengono i sondaggisti, che sono meno attendibili degli astrologi e dei loro oroscopi. Grillo vuole sottrarre il simbolo a Conte, non per usarlo con i suoi diciannovisti nella rifondazione a Bibbona-Salò del vaffa d’antan, ma per consegnarlo agli stessi tribunali (i Tar) che dal 1994, anno della dissoluzione della Dc e della diaspora democristiana, fanno friggere lo scudocrociato tra assegnazioni e revoche delle assegnazioni, assegnazioni confermative, conferme sospese e sospensioni rigettate. Grillo sa che i 5 stelle irriducibili, Raggi, Toninelli e non so quali altri ex squinternati d’assalto, hanno lo stesso destino di tutti gli irriducibili. Nella Lega fanno persino tenerezza i rifondatori del “celodurismo delle origini”. E in Forza Italia “lo spirito del ’94” si risveglia solo quando le elezioni vanno male. I comunisti, invece, non si contendono più il simbolo del Pci che, disegnato da Renato Guttuso nel 1953, era stato rivisitato da Andy Warhol nel 1977 con il titolo rovesciato Hammer and Sickle, Martello e Falce. Con qualche piccola variazione ora lo esibisce Marco Rizzo. Insomma, affidare il simbolo alle solite anime morte italiane, quelle delle interminabili dispute giuridiche, è la più crudele pena che Grillo infliggerà a Conte, ben sapendo che, molto più del nome, il vero simbolo dei 5stelle, è proprio il suo faccione. Berlusconi fu il primo a capire di essere lui, il simbolo. «Meno male che ci sono io» disse, e un anno dopo lo impose come inno: «Meno male che Silvio c’è». E ai candidati di Forza Italia ordinò di non usare più le loro facce sui manifesti elettorali perché la faccia di Forza Italia doveva essere solo la sua. Lo criticammo, dandogli del megalomane, del peronista e chissà che altro, ma la verità è che, archiviate le ideologie, Berlusconi inaugurava l’epoca dei partiti personali. E infatti oggi, nel nuovo linguaggio della politica democratica, non contano più i simboli che, come diceva il grafico Enzo Mari, sono sempre collettivi e dunque non appartengono a nessuno, ma a tutti. La croce, la stella di Davide, la mezzaluna rimandano alle loro rispettive comunità e non alle persone. È invece impossibile immaginare Fratelli d’Italia senza il nome e le sembianze di Giorgia Meloni. Anche Calenda e Renzi “sono” i loro partiti e i 5 stelle sono tutti prigionieri del faccione-destino di Grillo, anche Conte, quali che siano nome e simbolo del suo naufragio politico. Vedremo se Conte finirà su una piccola zattera della medusa o se, come nella canzone di Paolo Conte, il naufragio, onda su onda, lo porterà nell’isola della felicità: donne di sogno, banane, lamponi. Unico partito che non è personale è il Pd, dove il nome conta più dei segretari, forse per la forza del simbolo o forse per la debolezza dei segretari.