la Repubblica, 9 dicembre 2024
Gianni Morandi compie 80 anni
«Ho letto l’intervista a Guccini a Repubblica e la penso come lui: più che di morire, anche io ho paura di rimbambirmi, di perdere la memoria». E Gianni Morandi di ricordi ne ha un bell’archivio, lungo ottant’anni – da compiere mercoledì prossimo – pieni zeppi di momenti incredibili, incontri, esperienze, successi, cadute e risalite. Vissuti tutti con lo scetticismo pragmatico del ragazzino di montagna, figlio di un ciabattino comunista e di una lavandaia, che a quattordici anni prendeva la corriera dall’Appennino per andare a lezione di canto dalla signorina Scaglioni, dormendo a casa della zia della maestra, il “cinno” che vendeva le bibite al cinema Aurora di Monghidoro e si esibiva alla Festa de l’Unità per mille lire.Otto decenni di attimi fuggenti, vissuti con l’avidità caparbia e il gusto di chi sa che oggi è così e domani mah, chissà. Sessantadue anni di carriera dall’uscita diAndavo a cento all’ora : solo Mina e Ornella Vanoni, tra le voci in circolazione, possono vantare una discografia più lunga, ma l’attivismo di Gianni e la sua popolarità anche tra i più giovani, alimentata dai social, non hanno confronti.La vita è quel che ti succede mentre fai progetti, diceva il collega John Lennon. Ed è per questo che Morandi non ha nessuna intenzione di fermarsi a fare bilanci o tanto meno festeggiarsi. Continua a fare e progettare. Il disco in uscita venerdì prossimo, con la nuovaL’attrazione e un’antologia delle sue hit ricantate con ospiti illustri tra cui il figlio rapper Tredici Pietro, è l’unica concessione che fa alle celebrazioni. «È andata come doveva andare, sono stato soprattutto molto fortunato – ripete spesso –.Ho la quinta elementare, non sono un autore e nemmeno un grande interprete: mi è andata alla grande. Ho fatto oltre seicento canzoni ma quelle veramente belle, tonde, perfette saranno sì e no una quindicina. Poi ne ho fatte tante anche veramente brutte».Quest’anno ha rifiutato serate speciali sulla Rai, una serie doc su Netflix, concerti allo stadio Dall’Ara, biografie. Una marea di proposte e a tutti la stessa risposta, facendo gliscongiuri: «No grazie, mi commemorerete poi voi quando sarò morto». Alla festa per il matrimonio degli amici Marina e Stefano detto Celeste – compagno di maratone – da lui celebrato un anno fa in Comune a Bologna con la fascia tricolore, gli altoparlanti a un certo punto diffusero anche da Fatti mandare dalla mamma : «Ecco – sorride amaro – questa me la metteranno anche quando sarò nella bara…». Quell’immagine agita i sonni del ragazzo sempre più eterno. «Chissà quante ne diranno quel giorno, quante belle parole – disse in un’intervista a Repubblica qualche tempo fa – Quando muore un collega, un amico, mi chiamano sempre per commemorarlo e io ogni volta penso al giorno in cui sarò io al posto del defunto. E chiameranno gli altri a parlare di me, faranno servizi tv, interviste, articoli, trasmissioni speciali per raccontarmi e dire sempre le solite cose. Son sempre tutti bravissimi e buonissimi quelli che se ne vanno…».Gianni apre sempre volentieri il suo baule di storie, per primo stupito ogni volta dagli aneddoti che riesce a tirar fuori. Imita la voce di Ignazio La Russa quando lo portò a trovare il presidente della Repubblica, imita quella di Adriano Celentano quando giocavano a poker («Vedo le tue diecimila lire e aggiungo un miliardo»), imita quella di Mogol quando lo ripescò dall’oblio («Tutta quella roba che hai fatto prima devi buttarla via, fa schifo: se la gente si accorge che sei Gianni Morandi siamo rovinati»), imita quella di Lucio Battisti quando maltrattò una fan in una trattoria dicampagna. I suoi grandi classici sono le vacanze a casa del produttore Franco Cristaldi con il bel mondo del cinema, le partite a calcio con Pasolini, il delirio popolare quando attraversavano l’Italia col Cantagiro, le follie in tournée col giovane sconosciuto Lucio Dalla che lanciava escrementi dalla finestra dell’hotel sugli ospiti in piscina (più altre mille storielle), le serate in giro per la Bassa con gli orchestrali nelle balere di periferia, le lezioni di contrabbasso al conservatorio di Roma quando s’era rassegnato a una carriera che pensava già finita dopo i musicarelli.L’ottantesimo compleanno, mercoledì, lo festeggerà allo Stadio Da Luz di Lisbona, insieme all’altro grande amore della sua vita, il Bologna, di cui è stato anche presidente, per la partita di Champions League col Benfica.È stato il pretesto per fuggire dalle celebrazioni organizzando una gita di cinque giorni con altre due coppie di amici della consueta fedele combriccola di nip, non important person, che frequenta sempre.Dieci anni fa piantò una quercia roverella nel parco dove vive fuori Bologna a San Lazzaro (alluvionato a ottobre, per la seconda volta) calcolando quanti anni ci sarebbero voluti perché i suoi rami arrivassero all’albero più vicino: vederli toccare è l’obiettivo che s’è augurato. La mostra orgoglioso ogni volta, misurandone la crescita e rinnovando l’auspicio, a tutti gli ospiti, mentre l’amatissima moglie Anna alza gli occhi al cielo. «Tranquillo, sarai l’unico di noi che vedrà quei rami toccarsi».