la Repubblica, 9 dicembre 2024
Inizia l’era di al Jolani il miliziano pragmatico
Abu Mohammed al Jolani non c’è più. Il leader jihadista che ha travolto il regime siriano non ha più bisogno di un nome di battaglia e ieri è entrato a Damasco con la sua vera identità: Ahmad al-Sharaa, ora osannato dalla folla come “il Conquistatore”.«Questa vittoria, fratelli miei, è una vittoria per l’intera nazione islamica – ha dichiarato davanti ai suoi mujaheddin –. Questo trionfo segna un nuovo capitolo nella storia della regione». Ha pronunciato il discorso nell’antica moschea degli Omayaddi, la prima dinastia di califfi che tra il 661 e i 750 ha occupato le regioni più ricche dell’impero bizantino e di quello persiano. Al-Sharaa ha studiato con attenzione la storia degli Omayaddi nel liceo di Damasco riservato ai figli della ricca borghesia e molti ritengono che sia l’ispirazione della sua strategia: all’epoca i popoli preferivano sottomettersi all’Islam piuttosto che sottostare al dispotismo e all’intolleranza dei loro imperatori, perché cristiani d’ogni confessione, ebrei, zoroastriani e nomadi pagani sapevano che sarebbero stati trattati meglio. Inoltre i primi califfi avevano rimesso a nuovo le città e forgiato dal nulla un’armata invincibile: le stesse cose che il leader sunnita siriano ha realizzato nella sua roccaforte di Idlib e che adesso promette di estendere all’intero Paese.«Fratelli miei, ho lasciato questa terra più di venti anni fa e il mio cuore desiderava ardentemente questo momento», ha detto ieri il Conquistatore dopo avere baciato il prato davanti alla moschea. Ahmad al-Sharaa era diventato al Jolani nel 2003, quando a soli ventuno anni aveva raggiunto l’Iraq per combattere contro gli americani: un nome scelto in omaggio alla regione del Golan, da cui la famiglia dei suoi nonni era stata scacciata dagli israeliani dopo la guerra del 1967. In questi due decenni di battaglie si è misurato con tanti nemici arabi, iraniani o occidentali. E ha fatto tesoro degli errori delle prime due generazioni di maestri del terrore, con cui ha collaborato passando da un conflitto all’altro: al-Zarqawi, al-Baghadi e al-Zawahiri. Il giovane stratega, ha solo 42 anni, invece è il capostipite di una terza generazione di jihadisti che potrebbe rivoluzionare il mondo musulmano. Al Jolani ha capito che la creatura di Bin Laden era finita nel momento in cui aveva attaccato gli Stati Uniti, distruggendo le Torri Gemelle, mentre a provocare la sconfitta del Califfato di Mosul erano stati l’assolutismo e la brutalità, che gli avevano inimicato tutte le popolazioni fino a provocare l’intervento del Pentagono. Come ha sottolineato Hassan I. Hassan, fondatore e direttore di Newlinesmag: «Venti anni dopo l’11 Settembre, l’America non ha distrutto i gruppi jihadisti, ma ha modificato in maniera sostanzialeil modo in cui pensano».Al Jolani crede che le disfatte subite dagli eserciti islamisti possano essere riscattate aggiornando gli insegnamenti di un docente, Abu Musab al-Suri, che è stato tragli ispiratori della rivolta soffocata nel sangue nel 1982 da Hafez al-Assad, il padre di Bashar: dare servizi al popolo; evitare di essere visti come estremisti; mantenere forti relazioni con le comunità e con gli altri gruppi combattenti; focalizzarsi nella lotta contro il regime. Così dal 2017 ha creato a Idlib il laboratorio del nuovo fondamentalismo, calibrato per conquistare la mente e il cuore prima dell’anima. Ha unito tredici formazioni in un’entità, politica e militare, poi ha costruito strade ed ospedali: l’embrione di uno Stato Islamico, in cui però i valori del jihad vengono interiorizzati e non sbandierati.Ieri a Damasco ha ribadito il suo messaggio: vuole una Siria democratica, con spazio per ogni etnia e ogni religione. Sa che la gente è stufa di scontri: «Non c’è una sola famiglia in Siria che la guerra non abbia toccato. Il Paese è stato un parco giochi per le ambizioni iraniane, diffondendo settarismo e fomentando corruzione, ma ora viene purificato dalla grazia di Dio Onnipotente». A Idlib il leader si è abituato a trattare con gli emissari di tutti gli altri Paesi della regione, turchi e sauditi, giordani ed emiratini: ha condotto negoziati nell’ombra con americani ed europei, persino con i servizi segreti italiani. Fa sapere sempre che non li considera nemici e non commetterà lo sbaglio di mettersi contro l’Occidente. Si è detto pronto a smantellare le armi chimiche catturate nelle caserme della dittatura: gli israeliani non si fidano e le stanno bombardando.Il jihadista della terza generazione ha le idee chiare su come pacificare la Siria. Il suo fondamentalismo moderato, accompagnato dal buongoverno, è comunque rivoluzionario e fa più paura ai governi arabi che non i tagliagole dell’Isis: può diventare un esempio concreto per i salafiti egiziani, giordani, iracheni e sauditi, perché offre un’alternativa vincente al settarismo armato. Proprio come è accaduto all’alba dell’Islam con la travolgente marcia dei califfi omayaddi dalla Mecca a Baghdad passando per Alessandria. Il Conquistatore di Damasco adesso però dovrà misurarsi con un’impresa temeraria: tenere a freno la violenza delle due generazioni precedenti di jihadisti, terroristi liberati dalle prigioni del regime o membri delle bande tribali che si sono unite alla rivolta. Persone che non hanno piani a lungo termine per il futuro, ma vogliono subito vendette figlie del passato.