Corriere della Sera, 9 dicembre 2024
Se la Prima della Scala non fosse trasmessa in tivù
Metti che il Tar della Lombardia decida che la Prima della Scala non sia più una prerogativa della Rai ma vada messa a gara.
Metti che Pier Silvio Berlusconi, per ragioni puramente di prestigio e di milanesità, metti che Piero Maranghi, per passione melomane, decidano di mettersi di traverso nei confronti di Viale Mazzini.
Metti che la Prima venga messa a reddito e diventi una passerella costosissima (ora i prezzi vanno da 3.200 a 130 euro). Metti che non ci siano più Bruno Vespa e Milly Carlucci (quella di «Ballando con le stelle», la più rissosa trasmissione della Rai) a recitare la lezioncina imparata a memoria e a fingere di essere dei grandi esperti.
Metti che a spiegare un po’ meglio le cose ci siano Alberto Mattioli e Speranza Scapucci (insomma due del ramo, brillanti e competenti). Metti che non si parli di Enzo Miccio, Vittorio Brumotti, Dvora Ancona e Bruno Barbieri. Metti che Roberto D’Agostino sia nel Palco reale al posto di Ignazio La Russa (uno che dice «Liliana Segra») a celebrare «l’ultimo capodanno dell’umanità».
Metti che Alessandro Baricco, dopo aver dichiarato di non amare particolarmente l’opera («Mi sono detto che è l’ultima volta che la guardo: se non mi piace nemmeno stasera non ci riprovo più») sia ancora presente per non lasciare il posto a Chiara Valerio e al suo clan.
Metti che, senza la Rai, non si debbano più leggere cronache del tipo: «Colori crepuscolari, piume e mantelli. Per la Prima, la maggior parte degli ospiti ha scelto un look sobrio ed elegante. A differenza dell’anno passato, i vip e non vip hanno optato per outfit dai colori scuri».
Metti che il nuovo sovrintendente della Scala, Fortunato Ortombina, sia un fan sfegatato di Maria De Filippi o di Corrado Augias o non si perda una puntata di «Almanacco di bellezza» di Sky Classica, come la mettiamo?
Metti che Warner Bros-Discovery faccia l’en plein, portandosi a casa Sanremo e Scala: il Festival per la pubblicità e la Prima per la reputazione. Metti che Beatrice Venezi non diriga mai un’opera alla Scala.
Metti che il Teatro alla Scala, visto in televisione, resista come un divino anacronismo.