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 2024  dicembre 09 Lunedì calendario

Biografia di Claudia Pandolfi

Un incastro strano. Claudia Pandolfi definisce così la sua carriera e in un mondo parecchio ego-riferito come quello dello spettacolo, trovare chi non tira in ballo il sacro fuoco o un talento irrefrenabile è già una rarità. Ma l’attrice, in effetti, una rarità lo è per davvero e da tanti punti di vista. Parla con dolcezza ma non si fa sconti, non per posa ma con la serenità di chi, a un certo punto, ha imparato ad accettarsi per come è. 
Si sognava una ginnasta ma a 17 anni ha debuttato come attrice e da lì non ha più smesso. Come è iniziato questo «incastro strano»? 
«Ho cominciato a fare questo lavoro per caso, notata da Michele Placido a Miss Italia. Il primo che me lo ha fatto fare per davvero, con un ruolo importante, è stato Riccardo Milani e poi è arrivato Paolo Virzì». 
«Ovosodo» è del 1997 e resta un film generazionale. 
«E resta anche uno dei ruoli più importanti della mia vita. Da lì si sono mossi dei blocchi e le cose non si sono mai fermate». 
E quindi grazie Paolo Virzì? 
«Assolutamente sì, anche per essersene fregato di quello che si diceva all’epoca, cioè che fossi troppo televisiva». 
Era un commento ricorrente? 
«Sì, lo ripetevano tutti alla mia agente, anche dopo un buon provino. Figuriamoci poi dopo il successo, del tutto imprevedibile, di Un medico in famiglia. Lì ho imparato a non concentrarmi troppo sulle critiche e a imparare che alcune addirittura ti fortificano. Per carità, il dissenso disturba... però, ecco, basta non prendere troppo sul serio le cose. E lo stesso vale anche per il consenso: nel tempo mi sono un pochino raffreddata, diciamo che preferisco rimanere tiepida». 
Se c’è una cosa che proprio non sembra è che lei sia una tiepida. 
«Non lo sono perché penso di percepire con molta forza le emozioni, anche quelle degli altri. Non è mai facile essere oggettivi con noi stessi ma penso di poter dire che sono una persona molto empatica e questa è una cosa con cui nasci, non la puoi costruire. Mia sorella è peggio di me, sono fatta così, è una predisposizione». 
Vivere intensamente le emozioni rischia anche di aprire le porte a molti dubbi, non crede? 
«È vero, la mia empatia mi ha portata, specie in giovane età, a una certa inquietudine perché non riuscivo a capire dove fosse la verità delle cose. Quando mi veniva proposto in maniera sincera un punto di vista tendevo a considerarlo. Quando sono cresciuta ho capito che conveniva ascoltare me stessa piuttosto che gli altri. È stata una messa a fuoco importante: si può fare». 
L’inquietudine è passata anche nelle sue relazioni sentimentali: ha amato, cambiato strade, concluso relazioni che ormai erano finite. Ha detto anche che, da ragazza, si era innamorata di una donna. Insomma, anche da quel punto di vista si può dire che ha vissuto, no? 
«Essere onesti con noi stessi conviene sempre. Io anche a livello sentimentale ho scelto sempre di non nascondermi dietro un dito. Ho avuto un figlio con Roberto Angelini e nonostante il nostro rapporto si sia interrotto abbiamo mantenuto il legame e posso dire che oggi siamo certamente amici e che gli vorrò bene per tutta la vita. Se ci si lascia è per andare avanti non per farla pagare a qualcuno. Ora sto con Marco (De Angelis, ndr.) e con lui vivo con gioia e solarità: abbiamo avuto un figlio ma, tutti insieme, abbiamo costruito una famiglia con la stessa solidità della mia di origine, con i miei genitori che stanno ancora assieme». 
A proposito di famiglia, dal 5 dicembre su Prime Video è disponibile la seconda stagione di «The Bad Guy» in cui è la moglie di un ex magistrato che diventa un mafioso. 
«È una serie a cui sono affezionatissima, così come lo sono a questo ruolo. La mia avvocata, moglie di un magistrato, poteva sembrare da fuori un po’ noiosa, troppo aderente ai cliché. Invece ti sorprende, perché le cose non sono quasi mai quello che sembrano e questo vale anche per lei». 
I confini tra bene e male, tra giusto e sbagliato, come spiega la serie, volte diventano più sbiaditi. 
«Assolutamente. Ma quello che funziona molto bene è anche mostrare come spesso a determinare le cose non sono le gesta di uno ma quelle di tanti, che si concatenano». 
E lei si è mai sentita giudicata superficialmente? Da fuori? 
«Senza dubbio. Penso anche a certi commenti sulle mie prime prove d’attrice. Ma alla fine la realtà è che un pochino facevo tenerezza... l’unica cosa buona è che forse si percepiva una certa onestà nelle mia scarse performance. Per fortuna ho iniziato a rubare un po’ di qua e un po’ di là e ho imparato. In generale tutti noi, proprio come la mia avvocata di The Bad Guy, siamo pieni di sfumature e non aderiamo sempre perfettamente a noi stessi, ai nostri valori, alle nostre convenzioni. Conta però poter dire di andare in giro a testa alta e io lo faccio». 
Poche settimane fa ha compiuto 50 anni: le fa effetto la cifra tonda? 
«Certamente, ma in maniera lieve. Non sono una celebrativa quindi i cinquant’anni non hanno per me questo grande significato, senza contare che arrotondo da quando ne ho 47 almeno, quindi ci sono abituata. Non è una cosa che mi scalfisce ma sono concentrata sull’oggi, sul vivermi il tempo che mi riguarda nel migliore dei modi, consapevole che conviene prepararsi a essere agili e pronti all’improvvisazione. Al momento posso dire che sto bene, sono in salute, funziono e non vivo di rimpianti». 
Ha degli amici nello spettacolo? 
«Ho dei rapporti profondissimi con alcune persone con cui ho lavorato, ma non sono necessariamente attori. Sono legata alla mia manager, Federica, che resta sempre nell’ombra ma mi accompagna da tantissimi anni. È fondamentale per me e se devo darmi un merito è di essermi scelta le persone giuste con cui condividere la mia vita». 
Tra i colleghi sembra essere molto amica di Giulia Bevilacqua, almeno stando ai vostri profili social. 
«Beh ma lei è mia moglie. La sento quasi ogni giorno, o meglio, sento i suoi ultrasuoni, visto che a volte il tono con cui mi parla... ci muovono frequenze diverse ma abbiamo questo grande filo teso che ci unisce, una corda d’amore che ci lega da tanti anni ed è bellissimo». 
Davvero non si aspettava il successo di «Un medico in famiglia»? 
«Nooooo. Ma poi, avevo 19 anni, cosa avrei potuto mettere in conto? In generale io ho sempre vissuto tutto con grande sorpresa e oggi mi sento davvero grata». 
Ci sarà qualcosa che non ha amato della sua carriera... 
«Il teatro. Non mi è mai piaciuto, da subito. E mai mi piacerà». 
Ecco. Anche questa è una cosa che non hanno il coraggio di dire in molti tra i suoi colleghi, ne è consapevole? 
«Ma io ho vissuto sulla mia pella questa cosa, per due volte e in entrambe le esperienze mi sentivo sbagliata, inappropriata. L’esibizione a teatro crea una alienazione che non sopporto, un isolamento in cui conta solo la tua performance. Per me recitare è un lavoro collettivo, fatto di tante persone che lavorano vicine. E poi questa cosa che ogni volta la performance deve essere impeccabile se no è un disastro perché il pubblico è li che ti vede: ma uno sulle defaillance cresce, a me serve un regista che mi aggiusta, io sono diventata più brava grazie a quello e quello mi appaga, non l’applauso del pubblico che ho davanti. Non ho bisogno di quel tipo di consenso». 
Eppure gli attori di teatro, spesso, sono considerati i più bravi, i più nobili... 
«Non la vedo così, è un po’ come quando mi dicevano che ero troppo televisiva: non sublimerei niente e non denigrerei niente. Il teatro, semplicemente, non mi ha fatta sentire a mio agio e non mi ha gratificata da tutti i punti di vista. Mentre sul set ci starei sempre». 
Non le interessa diventare quella che dirige gli altri? 
«Mi interessa ma è troppo bello essere diretta. Sicuramente la conoscenza del mezzo fa parte di me, così come ormai conosco un po’ le dinamiche. Sono abbastanza preparata e idealmente potrebbe anche essere una buona idea mettermi alla prova come attrice ma per farlo serve avere l’urgenza di raccontare qualcosa e io questa cosa ancora non ce l’ho. Ho solo diretto un videoclip del papà di mio figlio e sono stata cattivissima. Sono certa che sarei una regista con una certa tempra». 
Ed ecco che torna la famiglia. 
«La mia di origine è stata numerosa e sfaccettata. Frequentavo tante persone: zii, cugini, sono stata cresciuta dai miei nonni... tutti erano parte del sottofondo solido su cui io poi potevo muovermi. Credo che questa cosa, anche se in un modo diverso, stia accadendo anche ai miei figli in maniera naturale e bellissima. Io ero una bambina davvero vivace ma allegra e anche se probabilmente davo da fare mi ricordo lo sguardo innamorato mia nonna che mi ha imboccato fino a 10 anni. Sì, mi imboccava. E lo so che è profondamente sbagliato ma resta tra i ricordi base più belli mia vita». 
Cosa pensa quindi, sulla scorta di tutto questo, dell’idea della supremazia della famiglia tradizionale? 

«Forse dovremmo capire cosa vuole dire tradizione, in primo luogo. Scegliamo allora quale tradizione seguire, visto che nella storia dell’essere umano ce ne sono state tante, anche ripescando dagli antichi romani e poi da lì in avanti. La tradizione non è un valore che rispecchia la mia parte interiore, chiamiamola anima se vogliamo. Io penso che sia giusto muoversi in altro modo, rispettando le scelte intime degli altri, qualunque siano. Ecco, io è a questo che ho scelto di aderire».