Corriere della Sera, 9 dicembre 2024
Le destre che parlano di libertà hanno simpatia per gli autocrati
Q uando i leader della destra usano la parola «libertà», e la usano spesso per dire che viene minacciata, la contrappongono alla parola «comunisti». Ma di quali libertà parlano? E a quale comunismo si riferiscono? Negli Stati Uniti Donald Trump ha ripetuto per mesi che la sua elezione «non era una scelta fra democratici e repubblicani, ma una scelta fra comunismo e libertà».
Eil presidente argentino Javier Milei ha salutato così la vittoria del nuovo presidente americano: «Oggi uno spettro diverso s’aggira per il mondo: lo spettro della libertà, per mettere fine al modello di servitù che regna nel mondo libero». Nel resto d’Europa non va diversamente. Per il leader ungherese Viktor Orbán, che pure strizza l’occhio alla Russia rifondata da un ex del Kgb come Vladimir Putin, «i progressisti non sono altro che comunisti con un diploma». Anche in Italia, da trent’anni, il berlusconismo definisce la sinistra italiana «comunista», nonostante il Pci si sia dissolto nel 1991. Giorgia Meloni dice che «è incredibile come la visione comunista si sia rafforzata da quando il comunismo è stato sconfitto». E l’ex comunista padano Matteo Salvini considera i suoi contestatori «zecche rosse, comunisti», senza ricordare che il Pci ha provato a governare solo insieme alla Dc nel famoso compromesso storico, e senza riuscirci, quand’era un partito ormai ben lontano da Mosca.
Non importa andare troppo per il sottile, l’etichetta di comunista si porta un po’ con tutto. «Uccideremo i comunisti del cambiamento climatico» promette Herbert Kickl, leader dell’ultradestra austriaca, ritenendo comunista ogni liberale o centrista che dia retta ai rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), a cui partecipano gli scienziati di 195 Paesi membri.
Quali libertà sono minacciate?Attenti ai comunisti, allora. In Europa, degli oltre 40 partiti esistenti, nessuno è al governo. In molti casi non sono neppure rappresentati nei Parlamenti, o sono minuscoli e irrilevanti come in Italia, e nemmeno s’ispirano al marxismo leninismo. Perché allora si continua ad agitare il pericolo comunista? Il termine «comunista» in realtà è usato dalle destre per indicare quei governi progressisti e di sinistra che ucciderebbero le libertà individuali. «Voi in Italia e noi in Francia siamo impegnati nella stessa lotta – ha detto Marine Le Pen a Pontida, il 17 settembre scorso —. La lotta per le libertà, per la patria: io so quanto ci teniate alle vostre libertà». E il sovranista olandese Wilders: «È necessario tutelare la libertà di coloro che dicono la verità e sono odiati per questo». In agosto, dopo l’arresto in Francia di Pavel Durov, il creatore del social Telegram (utilizzato anche per attività criminali), Salvini ha avvertito che «in Europa siamo ormai alla censura, alla puzza di regime. Chi sarà il prossimo a essere imbavagliato? Il grande Elon Musk?». Anche il leader spagnolo di Vox, Santiago Abascal, è convinto che la vittoria sulla «tirannia» delle sinistre passi per «la difesa dei diritti di Musk», ignorando quanto sia improbabile negarli a uno che è il principale consigliere della Casa Bianca, è proprietario di X, di satelliti militari e civili, e del più grande patrimonio finanziario mondiale. «Forze oscure vogliono togliervi la libertà», ha avvertito Donald Trump in un comizio a Butler, il 20 ottobre: «E io sono l’unico ostacolo».
Ma le destre sono imbavagliate?Dunque quali sono le libertà invocate dalle destre? Quelle di potersi esprimere contro idee considerate dominanti come il Green Deal, il cambiamento climatico, l’Europa, la cultura woke, il politicamente corretto. Libertà di espressione che però nessuno nega, e nessun organismo giuridico in Occidente ha mai segnalato restrizioni al diritto d’esprimersi su questi temi. Lo stesso Musk possiede la piattaforma con 368 milioni di utenti, dove proliferano le fake news, dove s’insulta la Commissione europea, dove si chiede il licenziamento dei nostri giudici quando applicano la legge sui migranti. Nessuno s’è mai sognato di censurare il generale Vannacci, con il suo best seller contro il «pensiero mainstream».
Quella agitata dalle destre è la libertà di non pagare le tasse che non piacciono, come se un singolo cittadino potesse scegliere; d’avere un’istruzione cristiana, come se l’ora di religione a scuola fosse vietata; di negare le misure di contrasto al riscaldamento globale. Anzi. In tutta Europa, dall’Olanda alla Polonia, le destre hanno portato le rivolte dei trattori in Parlamento con gli striscioni contro le politiche ambientali della Ue. Anche se in realtà i contadini protestavano contro il rialzo dei prezzi del gasolio, gli accordi commerciali con il Sudamerica (Ue-Mercosur) e lo strozzinaggio della grande distribuzione, poiché le politiche della Pac (Politica agricola comune) erano state già state riviste nelle sedi competenti. Lo scorso maggio Giorgia Meloni ha detto: «In questi anni, l’Europa ha messo in atto una limitazione della libertà degli Stati nazionali da cui si deve tornare indietro». È il caso di ricordare che l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione e che a Bruxelles ogni decisione viene adottata solo con l’approvazione all’unanimità, o a maggioranza, dei Paesi membri. Bernard Carr, nominato da Trump presidente della Commissione federale per le comunicazioni, sostiene che «dobbiamo ripristinare il diritto degli americani alla libertà di parola», nel Paese che l’ha inserita nel Primo Emendamento della sua Costituzione.
Le simpatie per i censoriÈ curioso che il modello di ispirazione venga proprio da regimi liberticidi. Marine Le Pen, il leader di Vox Abascal, Matteo Salvini e Giorgia Meloni simpatizzano per l’Ungheria di Orbán. Nella risoluzione del Parlamento Ue contro il leader ungherese per violazione dello stato di diritto, la Lega e FdI hanno votato contro. Eppure nell’Ungheria di Orbán il concetto di libertà è variabile: la Costituzione vieta i matrimoni fra persone dello stesso sesso; le minoranze, come i rom, devono frequentare scuole separate; l’Authority dei media, nominata dal premier, di fatto controlla l’informazione; i giudici ungheresi dipendono dal governo, che ne decide le carriere.
Matteo Salvini ha sempre detto di voler «cedere due Mattarella in cambio di mezzo Putin». Il partito Rassemblement National di Marine Le Pen, fra i primi a riconoscere l’invasione di Putin in Crimea, ha ricevuto 9 milioni di euro da banche di Mosca per finanziare le sue campagne elettorali. Lo stesso Trump guarda alla Russia di Putin: un Paese dove chi critica l’invasione dell’Ucraina rischia fino a 15 anni di carcere, che considera spie tutte le ong internazionali e indipendenti, che blocca gli accessi a siti internet senza l’obbligo di fornire spiegazioni, che ha chiuso definitivamente giornali scomodi come la Novaja Gazeta di Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, e sopprime fisicamente gli avversari politici. Simpatizza per Putin anche Orbán, che al tempo stesso ammira la Cina dell’«amico di lunga data» Xi Jinping e il suo stato di polizia. In Cina la legge sulla sicurezza nazionale (2015) vieta la libertà d’epressione, associazione e riunione; la legge sulla sicurezza dei dati (2021) dà al partito unico l’accesso illimitato a qualsiasi informazione dei cittadini; la legge sulla cybersicurezza (2016) impone una sorveglianza video e digitale completa; la legge sulle Ong straniere (2016) proibisce la difesa dei diritti umani, e nel Paese continua la persecuzione delle minoranze. «Abbiamo filosofie simili ed entrambi stimiamo l’indipendenza e l’agire di propria iniziativa», ha detto cinque mesi fa il leader ungherese al presidente cinese. Un bel complimento all’unico, grande Paese comunista del mondo.