Corriere della Sera, 9 dicembre 2024
Mezzo secolo di dinastia Assad
Il completo scuro e la valigetta in pelle da travet della repressione, Bashar entra nel palazzo presidenziale per un’altra giornata normale in ufficio, è il 2018, si sente saldo. Un passo dopo l’altro su per i gradini di marmo verso i saloni dove non avrebbe dovuto e voluto sedere. Il prescelto dal capostipite Hafez per raccogliere l’eredità del dominio instaurato sulla Siria nel 1971 era il primogenito Basil, un piano dinastico andato in rottami come la Mercedes del figlio prediletto, appallottolata in una notte del 1994 sulla tangenziale attorno a Damasco.
Bashar non era neppure la seconda scelta: alla morte del padre nel giugno del 2000 la famiglia non lo avrebbe richiamato da Londra e dagli studi di Oftalmologia, se il fratello Maher – di due anni più giovane – non fosse stato troppo feroce perfino per un clan che ha fatto della brutalità il metodo di controllo.
La moglie Asma, cresciuta ed educata in Gran Bretagna, lo affianca per rappresentare il cambiamento: appartenente a una ricca famiglia sunnita deve anche simbolizzare l’unità tra gli alawiti – minoranza di cui fanno parte gli Assad – e il gruppo maggioritario nel Paese. Deve smerciare nel mondo il rinnovamento di un regime che ha imparato a gestire il potere, ad arredare le stanze di tortura, dal Kgb sovietico. Così Asma viene ritratta dalla rivista «Vogue» come la «Rosa del deserto» solo una ventina di giorni prima che quel fiore mostri le spine, alleata senza ripensamenti del dittatore, acquirente compulsiva di mobili eleganti e lampade lussuose mentre il Paese sprofonda nel buio della repressione.
In queste ore i ribelli incendiano i manifesti con il volto di Bashar, i baffi dinastici e gli occhiali da aviatore. L’atteggiamento marziale sui poster non gli ha garantito statue, gli Assad forgiati nel metallo – quelli duri – sono solo Hafez e Basil. Non che Maher sia fatto di materiale morbido, ma persino la famiglia lo considera troppo forgiato con il sangue dalla cena di venticinque anni fa in cui aveva sparato nello stomaco al cognato Assef Shawkat, allora uno degli uomini più potenti, ucciso in un attentato suicida nel 2012, il kamikaze a risolvere la disputa tra parenti acquisiti. Assef aveva osato replicare all’ordine di starsene fuori dagli affari politici di casa (anche se era il marito di Bushra, primogenita e unica figlia femmina di Hafez).
Così è Maher a guidare la repressione contro le prime manifestazioni pacifiche nella primavera del 2011: il padre non l’ha voluto nominare successore ma lo ha addestrato alla violenza, gli ha affidato la Guardia repubblicana e la Quarta divisione corazzata, le truppe scelte composte da fedelissimi alawiti.
All’inizio per il clan è meglio che Bashar mantenga un sorrisetto rispettabile da mostrare all’Occidente, lui che ha sempre ripetuto di aver scelto Chirurgia Oculistica «perché è molto precisa, non è quasi mai un’emergenza e si sparge poco sangue». Di sangue in Siria ne è stato sparso a ettolitri, l’Onu calcola almeno mezzo milione di morti, hanno smesso di contarli quando non hanno smesso di essere ammazzati.
La rivolta a Daara nel marzo di tredici anni fa, tra i campi verso sud coltivati a pomodori, è anche la rivolta delle periferie, di chi si sente lasciato ai margini dalle promesse di prosperità del nuovo Assad. Che invece spartisce la ricchezza con i parenti come Rami Makhlouf in vecchio stile clientelare, dalle telecomunicazioni all’edilizia.
Con Bashar va in frantumi anche l’immagine di protettore dei palestinesi, la Siria è l’unico Paese a dare la cittadinanza ai rifugiati scappati nel 1948 dopo la nascita dello Stato israeliano. Nel 2015 inaugura un nuovo parco a Damasco, 9 mila metri quadrati dedicati a Kim II-sung. Perché il dittatore che ha creato la Corea del Nord era amico di suo padre Hafez, perché i due regimi sono alleati, perché chiunque critica Kim per la sua brutalità «è un assurdo idiota» come commenta un ministro siriano alla cerimonia. Il parco sta a pochi chilometri da Yarmouk, che da campo per accogliere i palestinesi è diventato un campo di concentramento come quelli costruiti da Kim e dai suoi discendenti.