Corriere della Sera, 9 dicembre 2024
Chi sono i ribelli siriani?
Un anno fa, mentre si faceva intervistare, a un certo punto il comandante Abu Mohammed al-Jolani indicò la strada di fronte e chiese: qui è dove comandiamo noi, vedete uno Stato islamico intollerante? Il cronista ne prese atto: «Le ragazze vanno a scuola – scrisse —, le donne guidano, sul marciapiede si vedono persone che fumano. Certo, i valori democratici e la società liberale sono un’altra cosa. Ma questo è già un cambiamento». Ora che al-Jolani è tornato al quartiere damasceno di Mazzeh dov’è cresciuto e s’è inginocchiato, baciando la strada, l’Occidente si chiede che capo sarà: il qaedista che inneggiava all’11 settembre e prendeva ordini dall’Isis di al Baghdadi? Oppure il «radicale pragmatico» che otto anni fa rinnegò il jihadismo globale, promise di «non colpire più le città europee per uccidere innocenti» e ad Aleppo, appena entrato, ha permesso ai cristiani di dire messa? Una domanda che ne sottende mille altre: chi sono e che cosa vogliono, questi nuovi padroni della Siria?
Tutti contro tutti, nel terrore delle minoranze armene, cristiane, alawite, sciite. Nessuno con nessuno: ci sono jihadisti, filoturchi, curdi del Pkk, vecchi arnesi dell’Isis, tribù beduine, mercenari stranieri. La riva ovest dell’Eufrate controllata dalle milizie arabe e quella est in mano ai curdi. Lo Stato islamico che non esiste più dal 2019, ma ha ancora uomini a Palmira. I drusi di Sweida e i sunniti di Daraa. Un puzzle che è difficile comporre e ha il tassello più grande nel movimento fondato da al- Jolani, l’Hts: Hayat Tahrir al Sham, Organizzazione per la Liberazione del Levante. Erede dei ribelli qaedisti di Al Nusra, nati con le Primavere arabe, l’Hts scende dal Nord-Ovest d’Idlib e dal 2017 non considera più la bandiera della rivoluzione siriana un simbolo d’apostasia. S’è fuso con gli altri gruppi della galassia «resistente»: Harakat Nour al-Din al-Zinki (un tempo controllato dagli Usa), Liwa al-Haq (che voleva lo Stato islamico) e poi Jaysh al-Sunna, Jabhat Ansar al-Din, che condividono il sogno finale di riconquistare Gerusalemme. Da quest’unione jihadista è nato il governo di Salvezza siriano dell’Hts, che ha saputo offrire sicurezza ai territori conquistati e ha controllato il confine turco di Bab al-Hawa, dove passano gli aiuti umanitari per tutte le aree gestite dai ribelli. Grazie anche ai petrodollari del Golfo, l’Hts s’è intestato l’opposizione armata al regime di Damasco: «Al-Jolani s’è rivelato un abile politico – dice uno studioso di cose siriane all’Università dell’Oklahoma, Joshua Landis – e in questi anni s’è riorganizzato, rimodellato, s’è fatto nuovi alleati e li ha convinti all’offensiva finale».
Tredici anni di guerra siriana ci hanno insegnato che le alleanze sono più labili dei sospetti. E nella coalizione che ha portato alla spallata finale, ci sono le sigle dell’Esercito Nazionale Siriano (Ens), sostenuto dalla Turchia e accusato dall’Onu di crimini di guerra: s’è unito agli ultimi scontri, ha conquistato l’aeroporto militare di Aleppo, ma ha sempre combattuto tanto Assad quanto i curdi siriani del Ypg alleati di Washington (che il turco Erdogan considera terroristi), per non dire dello stesso Hts. L’Ens scende dal Nord, non si sa con esattezza quanti uomini abbia, preferisce avere combattenti perlopiù arabi e conta fra i suoi anche l’Esercito Libero Siriano, che nel 2011 fu il primo gruppo di rivolta contro la dittatura. In questa nebulosa, si muovono anche micro-formazioni d’islamisti mercenari arrivati dall’Asia centrale, oltre che i ceceni che hanno partecipato alle battaglie nel Nord-Ovest.
Il terzo grande attore della nuova Siria è il Fds (Forze Democratiche Siriane), il miscuglio di milizie curde che governa il Nord-Est, ha ricevuto i dollari da Washington negli anni della guerra all’Isis e ha combattuto una sua battaglia parallela contro l’Ens e tutti gli altri gruppi ribelli. Il Fds s’è mosso subito, quand’è partita l’avanzata trionfale di al-Jolani, e ha consolidato le posizioni nel timore d’essere attaccato dai filoturchi. Non si fidano, i curdi, e chiedono aiuto agli americani, di cui si fidano ancora meno: «Attenti ad al-Jolani – ha detto un loro ufficiale a una tv —: mascherarsi da ragionevoli islamici è solo tattica».