Corriere della Sera, 8 dicembre 2024
Recensione della "Forza del Destino" alla Scala
È così granitico, a senso unico, il nucleo tragico della Forza del destino, che Verdi vi cucì addosso tutto un mondo di trame e figure secondarie. E di registri stilistici: il tragico, il comico, il solenne, il triviale, il sacro, il guerresco. Questa drammaturgia dell’accumulo, piaccia o no, è la principale differenza della Forza rispetto alle opere di prima e di poi. Ed è anche l’origine non solo della circolazione non così massiccia dell’opera, ma anche dei dubbi e delle titubanze attraverso i quali deve passare l’interprete avvertito che affronti la sfida.
L’esperienza – è il suo 18° titolo verdiano in carriera – e la tecnica suggeriscono a Chailly la definizione di un passo il più fluido possibile.
Non sono estremizzati i contrasti ma smussati gli angoli. Il che non significa però rinunciare ai tratti del «suo» Verdi, fatto di approfondimento analitico dei dettagli e di quell’equilibrio che a volte viene scambiato per freddezza. I tempi sono comodi a tratti ma non tanto da minare la logica di un passo teatrale logico e coerente. Spigliata e incisiva la Sinfonia, anche se gran cassa, timpani e piatti ci danno dentro più del necessario.
L’elemento di unità Leo Muscato lo individua invece nel filo rosso del tema permanentemente contemporaneo della guerra. Che gli atti siano differenziati (‘700-estate, ‘800-autunno, ‘900-inverno, giorni nostri-primavera), significa che non siamo in alcun luogo e in alcun tempo.
La struttura rotante crea a sua volta fluidità, definisce spazi sempre nuovi, buoni per la descrizione. Ci sono insomma illustrazione e astrazione. Sembra un ossimoro ma in realtà è scelta prudente. Non c’è il coraggio di altri suoi spettacoli. Ma è il Sant’Ambrogio scaligero, spettacolo complicato da allestire perché sempre a metà tra teatro e televisione. Come mettere un regista del livello di Muscato sul banco degli imputati?
Da lode Anna Netrebko. È smagrita ma la voce è morbida, pastosa e vellutata come sempre. Pieni voti anche a Ludovic Tézier, esemplare baritono verdiano.
Ottime qualità ma stile da affinare per Brian Jagde. Sufficienza piena per i numerosi comprimari. Di livello l’orchestra. Anche il coro, quando non si fa trascinare.