Corriere della Sera, 8 dicembre 2024
Breve biografia di Abu Muhammad al-Jolani, che ora si dichiara moderato
Scena prima. Un giovane uomo dal volto coperto risponde alle domande di Al Jazeera da una località segreta della Siria. È il 2014, la guerra civile sta bruciando il Paese. L’uomo si presenta col nome di battaglia di al-Jolani (cioè «colui che viene dalle Alture del Golan») ed è il capo di al-Nusra, il più efficiente gruppo fondamentalista che combatte in Siria. La maggior parte dei miliziani, al-Jolani compreso, ha esperienze di guerriglia contro gli americani in Iraq, nelle file dello Stato Islamico. «Combattiamo per stabilire la sharia — la legge islamica, dice al-Jolani —. Non ci sarà posto nel Paese per infedeli come sono i musulmani sciiti, i drusi, i cristiani e gli alawiti del presidente Bashar al-Assad». Il giovane mascherato ha giurato fedeltà ad Al Qaeda, parla da jihadista.
Scena seconda. Sono passati due anni e con un breve filmato su Internet al-Jolani mostra il suo viso. Ha la barba folta e lunga, ma ben curata, capelli corti sotto un turbante, abiti civili. «Ci siamo allontanati da Al Qaeda – dichiara —. La nostra battaglia ora è solo per liberare la Siria dal dittatore al-Assad». Dichiara il vero nome: Jabhat Fateh al-Shaam. Il nonno aveva combattuto i francesi e il padre è stato un nazionalista panarabo e sostenitore della lotta dei palestinesi contro Israele. Una famiglia di combattenti, ma laici. La conversione all’Islam politico di al-Jolani è nata attorno ai vent’anni, assieme all’indignazione per la repressione di Israele in Palestina.
Scena terza. Nel 2021, sulla Pbs, una tv americana, al-Jolani risponde a un reporter infedele, cittadino di un Paese, l’America, che ha posto 10 milioni di dollari di taglia sulla sua testa. Al-Jolani sfoggia la stessa barba, ma sui capelli si nota un vezzoso tocco di gel. «Chi stabilisce chi è terrorista? – argomenta —. Gli Stati. Ma lo Stato americano non è parzialmente responsabile di aver spinto migliaia di persone nell’Isis? E l’Europa che favorisce la persecuzione sionista dei palestinesi non spinge» al terrorismo? «È vero, sono stati uccisi molti innocenti e questo è sbagliato, ma chi è anche colpevole?». «Il vero governo islamico non può essere temuto altrimenti come sarebbero sopravvissuti i cristiani in Medio Oriente sotto il califfato per 1.400 anni?». Il jihadista ha cambiato tono, non punta più a islamizzare il mondo, ma coniuga il nazionalismo del padre con l’ordine religioso.
Scena quarta. Giovedì scorso. Il capo dei ribelli che avanzano verso Damasco ha ancora la barba folta, il gel sui capelli, ma gli è spuntata la pancetta. Si fa intervistare da una reporter della Cnn, neppure troppo velata. Non si atteggia a capo militare, piuttosto da politico. Vuole unire il Paese e creare «istituzioni comunitarie, non il governo di un singolo». Rassicura le minoranze e le potenze straniere: «A 20 anni pensi in un modo, a 40 cambi, è umano».
Nonostante la battaglia sia vicina, nonostante la taglia americana, è calmo. «La sanguinaria dittatura di al-Assad è morta – dice —. L’Iran e la Russia hanno cercato di resuscitarla, ma presto non ci sarà più spazio neppure per americani e turchi in Siria». Al-Jolani sembra sul punto di imporre un nuovo esperimento di governo islamico. In Afghanistan, in Iran, nello Stato Islamico è andato male, è degenerato in dittatura. Se Damasco cadesse, la Siria farebbe da ennesimo laboratorio. Il suo artefice nasce laico, diventa islamista, ne capisce gli eccessi e a parole li rinnega, ma di solito le cose vanno male per due ragioni: interferenze esterne (e nell’area è pieno di Paesi pronti a intervenire) o deliri di potenza del leader. Ci sono tutte le premesse perché succeda anche questa volta.