Corriere della Sera, 8 dicembre 2024
Sei domande sulla Siria
Gli sviluppi del conflitto siriano sono incalzanti, con cambiamenti drammatici impensabili fino a poche settimane fa. E sono infiniti gli interrogativi sul domani.
1) I protettori del regime non si sono accorti di nulla?
Russi e iraniani sono di casa in Siria, hanno uomini negli apparati e ne controllano di fatto alcuni. Sembra impossibile che siano stati colti di sorpresa da un’offensiva largamente annunciata e dal crollo dell’esercito. È possibile che sapessero quali fossero le condizioni di soldati demoralizzati e mal pagati ma per potere cambiare avrebbero dovuto investire altre risorse che non erano disponibili. Gli errori di valutazione, però, sono una costante in un’epoca di grande frammentazione e con attori minori imprevedibili. E vale non solo per l’asse russo-iraniano.
2) Assad resta sul trono?
Dopo la caduta di ogni città spuntano le voci su una sua possibile fuga, con i familiari mandati all’estero. Dubai, Mosca e altre destinazioni sono indicate come rifugi di chi è già scappato o di chi sarebbe pronto a farlo.
3) Se fugge o cade, ci sono soluzioni alternative al leader?
Gli analisti suggeriscono un’opzione interna: il raìs lascia lo scettro ad una figura della nomenklatura che avvia il dialogo con l’opposizione. C’è sempre nella caduta dei regimi un organismo o un personaggio «di transizione». Che può durare oppure avere una scadenza. Dipende non solo dalla sua volontà e dai giochi, contano le condizioni esterne. Questa interpretazione si basa sul fatto che gli alawiti – la minoranza al potere – devono avere delle garanzie. Politiche ma anche fisiche. E magari sperano nell’appoggio di Mosca e Teheran.
4) Fin dove vogliono spingersi gli insorti?
L’assalto è iniziato come reazione ad attacchi pesanti da parte del regime, è poi diventato una cavalcata travolgente che ha ottenuto risultati imprevisti per coloro che l’hanno pianificata con la conquista di Aleppo, Hama e l’avanzata su Homs fino ai sobborghi di Damasco. Infatti, le hanno anche cambiato «nome». In una intervista alla Cnn, Abu Mohammed al Jolani, leader del movimento Hts, ha indicato che la meta è la capitale e infatti i suoi uomini sono già nei sobborghi. Altra incognita per il futuro il rapporto di Hts con il resto della resistenza, l’Sdf (curdi e arabi), i drusi, le varie comunità locali con le quali ha siglato in alcuni casi accordi. Il movimento ha moltiplicato le iniziative per stemperare le tensioni.
5) Cosa accade alle basi russe nel Paese?
Diverse le ipotesi. La prima. Creano un’enclave che racchiude i porti di Latakia e Tartous, la pista di Hmeimim e mantengono altre installazioni nella zona ancora in mano ai lealisti. Servono però uomini per difendere la sacca, blogger russi hanno lanciato l’allarme sui pericoli per le installazioni. A questo proposito il centro studi israeliano Alma Center ricorda la presenza di una serie di avamposti vicini alle alture del Golan, «fortini» che sono però esposti e potrebbero essere tagliati fuori. La seconda. Il Cremlino, in caso estremo, potrebbe decidere di abbandonare gli scali e, secondo alcuni, riposizionare la flottiglia – di solito una mezza dozzina di unità – a Bengasi, in Libia. I contatti con il generale Haftar, il leader della Cirenaica, vanno avanti da mesi e qui sono già presenti gli ex mercenari della Wagner. Nei giorni scorsi una delegazione militare di alto livello russa è stata in entrambi i Paesi.
6) Cosa fa la Turchia?
Per alcuni Erdogan è il grande regista neppure troppo occulto dell’operazione. Per altri ha affiancato le mosse di al Jolani (o lo ha inseguito) ed ha mobilitato i guerriglieri filo-turchi gettandoli nella mischia visto che si sono aperte praterie grazie al ritiro lealista. Anzi c’è una tesi secondo la quale avrebbe persino fermato l’assalto a metà novembre. Secondo un’interpretazione Ankara e Hts sono partner ma non amici, collaborano fintanto che gli conviene.
Domani è un altro giorno.