La Stampa, 7 dicembre 2024
Intervista a Sara Curtis
Tra gli azzurri in partenza per i Mondiali in vasca corta c’è una diciottenne che ha già partecipato alle Olimpiadi, non vede l’ora che sia giugno per dare la maturità e iniziare a nuotare e vivere a un altro ritmo e continua a vedere il suo nome accostato a quello di Federica Pellegrini. Lei è Sara Curtis, distanze sprint 50 e 100, dorso e stile libero, unghie pronte tinte di azzurro e, per la prima volta, capelli liberamente afro.
Che effetto fa nuotare nelle corsie dello stile libero di Pellegrini?
«Lei andava dai 200 metri in su, io quelli ancora non li faccio e non so se arriveranno. Sono sprint puro. Il paragone non lo prendo, mi lusinga, ma non posso proprio vederla come riferimento. Troppo alto il livello, troppo diversa lei. Mi fa solo sorridere pensare che ero in vasca a Riccione, ai campionati italiani del 2022, nel giorno in cui ha dato l’addio al nuoto. L’ho guardata con grande attenzione: con tutte le gare importanti che ha fatto io penso a quella».
Troppo diversa nell’approccio al nuoto, nel carattere?
«Tecnica differente e altre frequenze. Io sto sempre a braccia tese, lei le metteva negli ultimi metri. Analisi inutile, non mi darei mai il titolo di futura Pellegrini».
Vi siete conosciute?
«Ci siamo mezze parlate una volta in cui mi ha premiato a Milano. Uno scambio rapidissimo. Le ho detto che avevo appena letto il suo libro: “Oro"».
C’è qualche cosa che ti ha stupito in quelle pagine?
«Non conoscevo il rapporto problematico che ha avuto con il cibo da ragazzina e ho apprezzato i chiari riferimenti ai fastidi per il ciclo mestruale, in certe competizioni, come ai Giochi di Rio. La complessità che sta dietro le abitudini dei campioni mi intriga. A Parigi speravo di incontrare Simone Biles, non è successo. La sua vita l’ho sbirciata dalla serie Netflix: una davvero tosta, sono convinta che ci sia un rapporto tra la persona e i risultati».
Domanda brutale. Quante volte le hanno detto «perché non corre»?
«Di continuo. Non l’ho mai presa come un’offesa perché a me l’atletica è sempre piaciuta, sono amica di Iapichino e di Furlani. Persino l’Esercito, quando mi ha arruolata, mi ha chiesto se non mi andasse di provare la buca per vedere se me la cavavo con il salto in lungo. Solo ironia, davvero, capisco venga ancora spontaneo guardarmi e non abbinarmi direttamente al nuoto».
Lei è la prima afrodiscendente nell’Italia di nuoto.
«Sì e so bene che resistono scetticismo e convinzioni superficiali sulle attitudini date dalle origini. Non esiste il gene del nuoto. In passato qualche provocazione mi è stata buttata lì, non l’ho raccolta. Sono giudizi così frivoli e privi di basi che li lascio dove stanno. Io nuoto, i miei tempi mi hanno portata in nazionale. Sono la prima, sarò una delle tante. In passato mi sono fatta problemi, ma per altre cose. E non succede più».
Quali sono stati i problemi?
«Li racconto attraverso i cambi di acconciatura. Alle elementari ero l’unica mulatta in classe, non trovavo altre come me e le bambine erano tutte con i capelli lisci, li volevo così: li sognavo biondi. Ho convinto mia madre a prendermi una piastra e me li sono ovviamente bruciacchiati, poi li ho nascosti. È iniziata la fase treccine. All’inizio erano un modo per occultare il crespo. Mamma me le faceva per le feste di Natale, grosse. Da bimba le sopportavo, da adolescente volevo solo quelle: sempre più fini, colorate, con le perline, varie. Un accento sull’estro, pure un modo di nascondere sti capelli. Alle superiori ho avuto solo classi multietniche. L’Italia cambia e io con lei, il fastidio è sparito».
Anche le treccine.
«Adesso testa naturale, afro, rigenero i capelli finalmente. Mi specchio e penso a mia madre che, a 19 anni, da sola ha lasciato un quartiere di Benin City, in Nigeria, senza elettricità per venire in Europa e costruire un futuro migliore. Quello in cui sono nata. So quanto le devo».
Ne ha parlato con lei?
«Sì, di recente. Mia madre era una bulla che correva senza scarpe, con i calzini. Grandissima. Mi ha emozionata ascoltare del viaggio fino in Germania, poi a Torino dove ha conosciuto papà al mercato di Porta Palazzo: molto romantico».
Lei è bulla?
«No, timidissima, pure troppo. Meno male che vivo a Savigliano, un posto piccolo e accogliente che, non so perché, appena prendo la strada per la piscina mette in circolo il traffico di Roma per farmi impazzire… Scherzi a parte, la provincia mi ha protetta».
Con Pilato, sua coetanea e sui podi internazionali da quando ha 15 anni, che rapporto ha?
«Per ora frequentiamo giri diversi. Lei sta con i più grandi, è abituata all’azzurro, io in nazionale ci sono entrata con un piede solo al momento. Mi sento in soggezione con i Ceccon e i Martinenghi».
I due ori del nuoto alle Olimpiadi. Come li ha vissuti?
«Gonfia di orgoglio: mi sono sentita importante perché sto nella stessa squadra e ovviamente mi sono immaginata lì, sul podio. La strada è lunga».
Parigi, la prima Olimpiade. Se pensa all’estate scorsa che cosa mette nella valigia per i Mondiali in corta di Budapest e che cosa butta via?
«Mi tengo stretta l’atteggiamento: agitazione, sana, solo sul blocchetto. Lascio a casa la confusione fatta nella 4x100 in cui ognuna ha nuotato in una corsia diversa, un pasticcio. Poi ne abbiamo riso, che dovevamo fare? Non si ripeterà. Soprattutto, stavolta mi porto il mio allenatore».
Thomas Maggiora, che rapporto ha con lui?
«È molto paziente, parla pochissimo, ma quel che dice mi arriva al cuore, alla testa, alle braccia. Siamo legati, la sua presenza cambia l’approccio, mi fa sentire molto più sicura».
Avete anche un rito.
«Sì la collanina che gli lascio in vasca prima delle gare. Gli affido un pezzo di me da custodire. Prima avevo una serie di scaramanzie e le sto lasciando andare. Se non avevo i calzini con gli spaghetti mi ossessionavo. Una volta si sono inzuppati, li ho lanciati via ed è andata bene lo stesso. Però chiedo sempre a mia madre, che è cattolica, molto religiosa, di pregare per me».
Lei è religiosa?
«Credo, ma non sono praticante, però sento la forza di chi ha fede e senza le preghiere di mia madre in nazionale non ci sarei arrivata».
Fuori dalla vasca e dalla scuola resta il tempo per fare che cosa?
«Mi rilassa cucinare, la mia ricetta sicura è il tiramisù. Poi metto in ordine gli armadi, un passatempo costante che mi dà stabilità. Appena qualche cosa non funziona, la mia camera esplode e se è a posto vuol dire che sto bene. Ascolto musica, non mi va proprio giù la trap, sono da jazz e soul: ora sto in fissa con Etta James e scopro Bob Marley. In loop con “Is this love"».
L’amore c’è?
«Sì, nuota anche lui e sta in Sardegna. Non comodo, mai nulla di facile, però a 18 anni la distanza ci sta. Ci siamo conosciuti a Torino, come i miei genitori: deve essere la città del cuore per la famiglia». —