Corriere della Sera, 7 dicembre 2024
Il leader e il sogno (finito) di tornare a Palazzo Chigi. Adesso correrà solo Elly
Guardate che la notizia, ormai, è un’altra.
Tutti a parlare e a scrivere di questo ennesimo voto online dei 5 Stelle ancora in corso, quorum o non quorum, con il sospetto forte che qualcuno se ne freghi e vada davvero per funghi (in via di Campo Marzio, a Roma, hanno beccato Vito «orsacchiotto» Crimi, il responsabile della macchina organizzativa, molto preoccupato, più accigliato del solito) e perciò sono proprio ore piene di dubbi e di paure che crescono tra meschinità e veleni, vecchi rancori e nuova voglia di potere (c’è anche la famelica attesa di quelli che con Conte sperano di farsi il terzo giro sulla giostra della politica: da Fico alla Taverna, «So’ na’ pura io! Brutta banda de’ zozzoni...»): mentre il comico indesiderato, dopo l’ultima lugubre pagliacciata, sceso da quel carro funebre, e spedita una bizzarra lettera al Nazareno, non si capisce nemmeno bene cosa realmente mediti per il Movimento, se qualche altro lampo di logora e pericolosa utopia o direttamente un necrologio politico.
Ma la notizia, appunto, è un’altra.
Questa: comunque finisca, domani sera, e immaginando persino una sua nuova vittoria, è chiaro e sicuro già da oggi che, con un Grillo inferocito e vendicativo sul collo, un partito lacerato da rifondare e un simbolo da difendere in tribunale (solo il simbolo sembra valga un 3% alle urne), per Giuseppe Conte niente sarà più come prima. E deve farsene una ragione: è Elly Schlein l’unica possibile, credibile candidata premier del centrosinistra.
Punto. Fine. Soprattutto di quel preciso progetto covato dall’avvocato di Volturara Appula. Prigioniero di una vanità assoluta (la pochette bianca a cinque punte era un solido indizio), per mesi tutti gli stucchevoli e ostinati dibattiti sul futuro del cosiddetto Campo largo si concludevano – e regolarmente s’impantanavano – dentro la sua sulfurea ambizione. Diventata, con gli anni, una tremenda ossessione: tornare a Palazzo Chigi per la terza volta. Una più di Bettino Craxi, per dire.
Ragionare, trovare complicità, fidarsi di uno così: un’impresa. Probabilmente impossibile. Conte, a lungo, è stato un coccodrillo travestito da camaleonte. Prometteva lealtà, patti elettorali, e allora si fidavano, lo accarezzavano: ma lui aveva già cambiato idea ed era lì che stava per azzannare, e tradire. Elly lo sa bene. Elly sa tutto. Pure che Conte ha già smesso di essere un problema. Forse, addirittura, non è nemmeno più un alleato, come ha annunciato, baldanzoso, lui stesso (su La Stampa): vuole tenersi le mani libere (ritorno alla tattica grillina delle origini). E, per cercare d’essere convincente, ci prova con un giochino di parole: «Siamo progressisti – dice – però non di sinistra». Ma è una supercazzola patetica. Ormai più Conte Mascetti che Mago di Oz (come pare lo chiamassero, per sfotterlo, Grillo e Mario Draghi). E poi, comunque, è arrivato tardi: perché Prodi l’aveva già chiarito con forza, scuotendo la testa in un miscuglio, parve di capire, di disgusto e amarezza: «Definire di sinistra il Movimento... Beh, mi sembra difficile» – era lunedì pomeriggio e, al secondo piano della libreria Spazio Sette di Roma, in vicolo dei Barbieri, nuovo cenacolo dem, il professore e Massimo Giannini presentavano Il dovere della speranza (Rizzoli), un bel libro pieno di ragionamenti, e di passione.
Quella che all’avvocato di Volturara Appula manca: perché l’ambizione non prevede passione. L’ambizione è ambizione. Nutrita, nel suo caso, con doti innegabili: strepitoso cinismo, efferata spregiudicatezza, freddezza da pokerista, istintiva astuzia (cioè capire il momento, coglierlo).
Quando, nel 2013, i 5 Stelle reclutano giuristi, Alfonso Bonafede – già leggendario dj alla discoteca Extasy di Mazara del Vallo, poi due volte pure Guardasigilli – dice: «Io ne conosco uno. È stato il mio prof di Diritto privato...», Conte subito si presenta. Mite, con il ciuffo, con il maglioncino d’ordinanza dei meetup. Ma sa parlare. E ha un certo rango. Quello che nessun grillino possiede. Così, un pomeriggio – era la fine di maggio del 2018 – lo chiudono nella stanza di un albergo, sede del casting: tu, aspetta qui. Stavano decidendo se potesse essere lui, il premier. Poche ore dopo, nella sede romana del Corriere, ci chiedevamo: Conte o Conti? Nessuno l’aveva mai sentito nominare. Uno di noi pignolo – nelle redazioni c’è sempre uno un po’ pignolo e maestrino – urlò: «Ci stanno fregando! Su Google l’unico Conte che compare è Antonio, l’allenatore della Juve!». Stupore. Poi curiosità. Secondo lo schema pianificato da Di Maio e Salvini, che avevano architettato il governo gialloverde, l’incarico di premier doveva infatti essere ridotto a qualcosa di simile ad una carica onorifica. Solo che lui è Conte. Si definisce «avvocato del popolo», confessa la sua fede nazionalpopolare per Padre Pio, ha la voce di velluto. Quella dei finti buoni: si rivela un camaleonte feroce. Specie mai vista, in Parlamento.
C’è un racconto forte come un’allucinazione. Molla i leghisti (con cui ha firmato i famigerati decreti Sicurezza) e fa un governo con il Pd. Poi s’accuccia a Draghi. Intanto diventa amico di Trump («Oh, Giuseppi!»). E abbraccia Putin. Così, quando il criminale russo scatena la guerra, è tra quelli che non vogliono inviare armi in Ucraina: il pacifismo di Conte è declinato contro il sostegno di Unione Europea e Nato a Kiev, un atteggiamento che però, di fatto, lo avvicina alle posizioni di Salvini e Marine Le Pen. Infine, l’ultima mossa: decide di prendersi il Movimento.
Solo che ora siamo al bivio. E le due strade che si aprono sono una più complicata dell’altra. Se la votazione online, domani sera, andasse male, secondo la maggior parte degli osservatori, Conte ha una sola strada percorribile: quella che porta alle dimissioni. Ma anche se vince, il percorso resta complicato: dovrà difendere il simbolo da Grillo, che in tribunale ne rivendicherà la paternità, e insieme dare una nuova anima al partito. Con addosso un gigantesco interrogativo sul suo elettorato: quanti grillini saranno disposti a diventare contiani?
A Palazzo Chigi, prima o poi, ci vado io.