Avvenire, 30 novembre 2024
Abu Mazen dice che Trump vuole la pace, il problema è chi gli sta intorno
Ramallah
«Nonostante le indicibili sofferenze che il nostro popolo sta patendo a Gaza e in Cisgiordania, manteniamo viva la speranza di poter vivere in pace in questa terra. Che è la nostra terra. Non veniamo da fuori». Per la prima volta dal 7 ottobre 2023, il presidente palestinese Mahomoud Abbas, più conosciuto come Abu Mazen, concede una lunga intervista. Parole e rivelazioni da leggere spesso in controluce. Perché dietro al lessico del capo di Stato, a cui va dato atto di non essere mai stato tenero con Hamas, si profila un piano per il futuro e la condanna per il presente. Ci riceve alla vigilia di un viaggio tenuto finora riservato. Il 12 dicembre incontrerà papa Francesco, il 13 sarà dal presidente Sergio Mattarella e dalla premier Giorgia Meloni. Arrivando alla Muqata, il fortino presidenziale fin dai tempi di Yasser Arafat, incrociamo il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton e il suo vicario, padre Ibrahim Faltas, venuti ad invitare il Abbas alla tradizionale Messa di Natale a Betlemme. «Non vedo l’ora di incontrare il Papa. Per me è un amico – ripeterà più volte –. Non posso scordare l’evento storico in Vaticano, per la prima volta nella storia insieme, noi, i musulmani, gli ebrei e i cristiani a piantare nei suoi giardini un albero di ulivo per la pace. Accogliamo ogni giorno il suo invito a pregare l’unico nostro Dio per lui». Prima di rispondere alle domande, l’89enne leader palestinese che in questi giorni ha indicato i modi di una eventuale e improvvisa successione, vuole scandire i suoi principi. «È qui che siamo nati. È qui che sono nati i nostri avi. È qui che rimarremo. Le Nazioni Unite nel 1947 ci riconobbero il 45 per cento di questa terra. Noi oggi reclamiamo il diritto a vivere in pace e libertà solo nel 22 per cento. Ma anche questo ci viene negato». Lascia intendere che il nemico non è il popolo di Israele: «Mi auguro che in esecuzione del mandato della Corte penale internazionale Netanyahu venga presto arrestato e si possa rapidamente riprendere un percorso di pace. Non siamo solo noi ad augurarcelo ma anche tanti cittadini israeliani stufi del loro governo estremista e desiderosidi vivere in pace».
Gli sviluppi in Libano, la possibile evoluzione anche a Gaza, la nuova leadership negli Usa con Trump. Quali effetti possono avere?
Trump vuole la pace. Semmai il problema è che fra chi gli sta accanto c’è chi non la vuole. Lui ascolta gli israeliani, ma ascolta anche noi. Dopo che ha vinto le elezioni, gli ho parlato a lungo. È stata una conversazione molto positiva. Abbiamo parlato come tra due amici. Nel precedente mandato, ogni volta che ci siamo incontrati, ci siamo trovati d’accordo su tutto. Trump ha un buon rapporto con l’Arabia Saudita, e noi ugualmente, condividiamo molto con Riad ed apprezziamo la loro mediazione. In Libano il cessate il fuoco è frutto di una negoziazione tra Israele e governo libanese. Anche a Gaza una tregua dovrebbe essere analogamente negoziata tra Israele e Autorità nazionale palestinese, che su Gaza vanta una giurisdizione esclusiva.
Presidente, è soddisfatto del sostegno dai Paesi arabi e dalla Lega Araba?
Tutti i Paesi arabi appoggiano lo Stato di Palestina politicamente, materialmente e moralmente il più possibile, sostengono la causa palestinese nei forum internazionali e aiutano il nostro popolo a continuare il suo impegno con ferma determinazione fino a quando non raggiungerà la propria libertà e indipendenza.
Crede che nella possibilità di un accordo tra sauditi e Israele?
L’Arabia Saudita ha ripetutamente manifestato la propria visione per raggiungere la pace in Medio Oriente ed essa implica il riconoscimento dello Stato palestinese. Quest’ultimo è già riconosciuto dalle Nazioni Unite. I palestinesi si impegneranno a raggiungere la propria indipendenza una volta concluso un accordo con gli Usa.
Nel corso di interviste all’Osservatore
Romano e a Lucia Capuzzi diAvvenire, l’ex premier israeliano Ehud Olmert ha parlato del piano di pace che poi ha presentato al Santo Padre. Prevede la creazione dei due Stati e, nelle linee essenziali, ricalca un progetto che discusse con lei nel 2006, mai realizzato. Lo ritiene ancora attuale?
Con Olmert ci siamo trovati in sintonia su tutte le questioni aperte. Eravamo vicini a un accordo ma, proprio quando mi preparavo all’ultimo incontro per firmare l’intesa, mi dissero: «Non andare, Olmert sta per finire in prigione». (Ehud Olmert, che si è sempre dichiarato innocente, è stato arrestato e condannato per un caso corruzione da 17mila dollari quando era ancora sindaco di Gerusalemme, ndr).Continuiamo ad avere buoni rapporti tra noi ancora adesso. Vi rivelo un aneddoto. Una volta eravamo da soli io e lui. «Vogliamo fare accordi di pace con i Paesi arabi, voi siete d’accordo?», mi chiese. Si trattava, mi spiegò, di una intesa tra la Siria ed Israele, mediato dai turchi. Risposi che certamente non avevamo niente in contrario. «Devi aiutarmi – aggiunse – perché Bush jr. è contrario alla pace di Israele con la Siria. Andai da Bush e lo convinsi e così le trattative proseguirono. Poi purtroppo vi fu l’incidente coi turchi della “Freedom Flotilla” (nel 2010 una flottiglia di piccole navi di attivisti pro Palestina partite dalla Turchia per portare aiuti umanitari a Gaza venne intercettata dalle forze speciali israeliane che uccisero 9 attivisti,ndr). E le trattative si interruppero per il ritiro dei mediatori turchi. È una storia che non ho mai raccontato, ma la dice lunga sulle potenzialità di un approccio negoziale.
Come descriverebbe i fatti che sono
avvenuti nel corso dell’ultimo anno?
Il governo estremista di occupazione israeliano ha continuato le sue pratiche coloniali per minare la soluzione dei due Stati, proseguendo il furto di terra palestinese in Cisgiordania e attaccando i luoghi sacri islamici e cristiani nell’ambito di una politica sistematica di separazione della città di Gerusalemme dalla Cisgiordania e quest’ultima da Gaza. Quasi 420 giorni fa, le forze di occupazione hanno iniziato il conflitto più violento di sempre contro il popolo palestinese nella Striscia. I tribunali internazionali l’hanno descritta come una guerra di genocidio che ha ridotto il popolo alla fame, un’offesa alla dignità umana. Il numero delle vittime civili ha superato quota 150mila (tra morti e feriti, ndr) e più dell’80 per cento degli edifici, delle strutture e delle infrastrutture nella Striscia sono state distrutte. Il governo occupante ha, inoltre, promulgato leggi e emanato ordini militari per bloccare l’operato dell’Unrwa, organismo internazionale istituito per aiutare i rifugiati palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme. Abbiamo condannato questo violazioni e il mondo le ha condannate con noi ma il governo di occupazione non è tornato indietro, è andato avanti con la sua arroganza e i suoi crimini.
La Knesset ha votato una ferma risoluzione contro la soluzione dei due Stati. Vede una alternativa alla scelta del Parlamento israeliano?
La decisione è contraria al diritto internazionale e agli accordi firmati. Dimostra che lo Stato occupante agisce al di sopra del diritto internazionale, spingendo la regione verso l’instabilità. La comunità internazionale deve fare pressione su Israele affinché rispetti il diritto internazionale. Da parte nostra vogliamo la pace sulla base della soluzione dei due Stati e secondo quanto legittimamente concordato in base al diritto internazionale. L’autorità di occupazione israeliana non ha il diritto di farlo, ma emana leggi nei territori occupati. I Paesi del mondo devono attuare il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia che chiede di porre fine all’occupazione entro 12 mesi. E punire Israele perché non la rispetta. I suoi crimini violano il diritto internazionale.
Quali sono le condizioni affinché possiate nuovamente assumervi la responsabilità per Gaza?
Il governo palestinese ha espresso la disponibilità ad assumersi tutte le proprie responsabilità a Gaza, compresa la gestione dei ministeri, delle istituzioni, della sicurezza e dei valichi di frontiera. Il nostro governo paga già gli stipendi degli impiegati pubblici e le bollette dell’elettricità e dell’acqua per tutta la Striscia, oltre a fornire assistenza sociale a più di 300mila persone. Va ricordato che lo Stato di Palestina ha giurisdizione sul Gaza così come sulla Cisgiordania e su Gerusalemme Est. Esortiamo ad attuare la risoluzione numero 2735 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede il cessate il fuoco, la fornitura di aiuti e il ritiro delle forze di occupazione israeliane.
Uomini come lei e il presidente Arafat per la Palestina, Rabin e Shimon Peres per Israele, erano riusciti a ripristinare la speranza. È ancora possibile?
Credo ancora nella pace e nell’azione politica. I mezzi diplomatici e le leggi sono il modo per dare ai palestinesi diritti politici, libertà e indipendenza. Ho fiducia nel lavoro con i Paesi fratelli e amici del mondo nel quadro della coalizione internazionale recentemente formata per la pace affinché la Palestina ottenga la piena adesione alle Nazioni Unite e si realizzi la soluzione dei due Stati sulla base del dirittointernazionale.
Di fronte alla perdita di speranza e futuro, ci sono giovani che scelgono le armi e il ricorso alla violenza.
Il punto centrale è il ripristino del diritto internazionale da parte della comunità internazionale e l’attuazione della soluzione dei due Stati attraverso l’applicazione delle risoluzioni vigenti. Va, inoltre, reso operativo il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia e messo fine all’occupazione israeliana entro 12 mesi.
L’Italia si è impegnata ad aiutare un certo numero di bambini feriti a Gaza. Qual è il suo appello alla popolazione e ai politici italiani?
Ringraziamo il governo amico e il popolo italiano per il suo sostegno nel raggiungimento della pace in conformità alle leggi internazionali, nel rispetto dei diritti legittimi del popolo palestinese. Apprezziamo molto il gesto generoso dell’Italia nell’aiutare numerosi bambini rimasti feriti in seguito all’aggressione israeliana.
Presidente, fuori dal suo studio c’è un grande quadro che, per evocare Gerusalemme, mette accanto in un panorama improbabile la cupola dorata della Moschea della Roccia e quella della basilica del Santo Sepolcro. Cosa rappresenta?
Noi siamo da sempre insieme, cristiani e musulmani. Non vogliamo che i cristiani siano costretti ad abbandonare la terra di cui sono figli. Al contrario, abbiamo il desiderio che quanti l’hanno lasciata a causa dell’occupazione militare israeliana possano ritornare in Palestina. Apprezziamo molto quanto fanno i cristiani e, in particolare, i francescani per cementare uno spirito di pace. Mi auguro che questo sia l’ultimo Natale di guerra e che, il prossimo anno si possa tornare a celebrarlo a Betlemme con la consueta gioia. A tale fine, chiediamo tre cose: un immediato cessate il fuoco, che nessuno a Gaza e in Cisgiordania sia costretto a lasciare la propria terra e che sia costituito un comitato internazionale per affrontare il problema di Gaza e della ripresa di negoziati di pace. Lo diciamo fin dal 7 ottobre. E sono felice di osservare che sono le medesime tre richieste di papa Francesco.
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Non posso scordare l’evento storico che papa Francesco ha promosso in Vaticano quando ha chiamato, per la prima volta nella storia insieme, noi musulmani, gli ebrei e i cristiani a piantare nel giardino un albero di ulivo per la pacificazione. Accogliamo ogni giorno il suo invito a pregare l’unico nostro Dio per lui «Ho avuto una lunga conversazione con il nuovo capo della Casa Bianca dopo la vittoria. Abbiamo parlato come due amici. I mezzi diplomatici e legali sono il modo per dare al nostro popolo diritti politici, libertà, indipendenza» «Il governo palestinese è disposto ad assumersi tutte le responsabilità a Gaza, compresa la gestione amministrativa, della sicurezza, dei valichi di frontiera. Chiediamo subito il cessate il fuoco e il ritiro dei militari di Tel Aviv»
Nel nome del figlio
Abu Mazen prese il posto di Yasser Arafat, nel 2004, dopo la morte dello storico leader palestinese. Classe 1935, Mahmud Abbas (chiamato Abu Mazen, “padre di Mazen”, il figlio morto a 42 anni), militante dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) sin da giovanissimo, ha fondato Fatah, il principale partito palestinese, assieme ad Arafat. È stato fra i negoziatori palestinesi nelle trattative con Israele sfociate, nel 1993, alla storica stretta di mano alla Casa Bianca fra Arafat e Rabin (ucciso poi da un fanatico dell’ultradestra israeliana) e agli Accordi di Oslo. In un discorso passato alla storia Abu Mazen aveva sostenuto che la seconda Intifada, scoppiata nel 2000, e la lotta armata «hanno danneggiato il popolo palestinese» sulla strada del riconoscimento dello Stato di Palestina. Ma nel 2006 Hamas avrebbe assunto il controllo di Gaza, al culmine di una lotta interna ai gruppi palestinesi. Il 7 ottobre 2023 il presidente dell’Anp ha condannato da una parte «l’uccisione di civili da entrambe le parti perché contrarie alle leggi morali, religiose e internazionali» e, dall’altra, chiesto il rilascio «di tutti gli ostaggi e i detenuti» israeliani e palestinesi. ( N.S.)