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 2024  dicembre 06 Venerdì calendario

Così il «Tunnel della libertà» violò il Muro di Berlino

Centocinquantacinque chilometri di parete, alta tre metri e sessanta centimetri, migliaia di guardie armate. A partire dalla notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 questo enorme perimetro carcerario venne costruito attorno a Berlino Est. Gli venne dato l’assurdo nome di Antifaschistischer Schutzwall, significa «Barriera di difesa antifascista» ma in realtà aveva trasformato metà della città in una prigione a cielo aperto. Anche perché gli abitanti del lato occidentale della metropoli potevano attraversarlo quasi a piacimento, a parte i controlli di rito. Erano gli abitanti di Berlino Est a non poter uscire. Del resto, prima che venisse costruito erano fuggiti verso ovest oltre tre milioni di persone. Dal momento che la città venne spaccata in due la fuga divenne questione di vita o di morte. I VoPo di guardia sparavano senza nessuna pietà. Eppure i tentativi di fuga proseguirono senza mai arrestarsi. Sia con i falsi passaporti, sia con salti disperati, sia nel sottosuolo, con lo scavo di incredibili tunnel.
La storia di uno di questi scavi clandestini è veramente incredibile e ora la giornalista e podcaster inglese Helena Merriman la rievoca in un saggio che ha la forza del romanzo di spionaggio: Tunnel 29. La storia vera di una straordinaria fuga sotto il muro di Berlino (Mondadori, pagg. 374, euro 22).
Il Tunnel 29, conosciuto anche come «Tunnel della libertà», venne concepito da alcuni giovani fuggiti dalla Germania Est su input di due nostri connazionali. Tutto cominciò quando due studenti italiani di ingegneria, Luigi Spina e Domenico (detto Mimmo) Sesta, decisero di intraprendere un’impresa audace e folle: scavare un tunnel sotto il Muro per permettere la fuga di alcuni amici e dei loro familiari intrappolati nella Germania Est. Era il 9 maggio 1962 quando Luigi e Domenico, insieme a Joachim Rudolph e ad altri volontari, iniziarono a scavare da uno stabilimento industriale abbandonato situato in Bernauer Strasse, nella parte occidentale di Berlino. Il loro piano? Sbucare in un edificio nella parte orientale della città: e per raggiungerlo dovevano scavare un tunnel lungo 135 metri. Anche se c’erano nel gruppo degli studenti di ingegneria non avevano mai fatto nulla di simile. Non bastasse, sotto Berlino è presente una faglia acquifera che spesso quasi affiora e molti terreni sono friabilissimi. Insomma il rischio di finire annegati o schiacciati dal crollo del tunnel era altissimo. Senza contare l’abitudine dei VoPo di localizzare i tunnel con sistemi di ascolto e farli detonare o far irruzione sparando sugli scavatori. A vantaggio di questi giovani solo pochi fondamentali fattori: una grande inventiva e il fatto che la strada sotto la quale stavano operando era molto trafficata e rumorosa. Il lavoro si protrasse per mesi in modo massacrante: dovevano scavare distesi, evitare di fare rumore per non attirare l’attenzione delle guardie di frontiera, affrontare problemi tecnici come la ventilazione e la creazione di carrellini elettrici per lo spostamento dei materiali.
A un certo punto, le risorse finanziarie del gruppo stavano per esaurirsi, mettendo a rischio l’intero progetto. Fu allora che Luigi e Domenico decisero, con un pizzico di follia, di contattare la rete televisiva statunitense Nbc. La Nbc accettò di finanziare il progetto in cambio del diritto di filmare l’intera operazione. Questo accordo permise loro di acquistare l’attrezzatura necessaria e continuare i lavori. Nel frattempo si aggiunsero altri volontari. Ma ogni nuova persona che entrava nel piano in realtà avrebbe potuto essere una spia della Stasi, il temibile servizio segreto della Germania comunista.
L’impresa era già disperata così ma di mezzo ci si mise un tubo dell’acquedotto. Si ruppe durante lo scavo, allagando il tunnel, causando un ritardo di due mesi. Costrinse i nostri clandestini a chiedere aiuto ai funzionari comunali di Berlino Ovest per fermare la perdita, sperando che non fossero infiltrati. Questo imprevisto trasformò il lavoro in un inferno di fango. Continuarono a drenare l’acqua e a scavare, determinati a portare a termine la loro missione. Nel frattempo, la Stasi scoprì un altro tentativo portato avanti con un secondo tunnel. Ci furono decine di arresti. Questo incidente aumentò la tensione e il rischio per il gruppo di Luigi e Domenico, poiché la sorveglianza e i controlli si intensificarono. Finalmente, il 14 settembre 1962, il tunnel fu completato. Quella notte, 29 persone riuscirono a fuggire attraverso il tunnel, raggiungendo la libertà nella Germania Ovest. Tra di loro c’erano Peter Schmidt, il compagno di studi di Luigi e Domenico, insieme a sua madre, sua moglie e sua figlia.
Helena Merriman ricostruisce tutta questa vicenda grazie alla testimonianza di Joachim Rudolph ed un numero enorme di documenti e di testi. Ma la cosa che rende veramente notevole il volume è la capacità di intrecciare la vicenda con decine di altre per ricostruire il mondo della Guerra fredda con la sua follia che spezzò in due le vite di centinaia di migliaia di persone.