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 2024  novembre 30 Sabato calendario

Recensione di Dostoevskij dei fratelli D’Innocenzo

Non solo per il titolo, ma «Dostoevskij» è la serie più intellettualistica che mi sia capitato di vedere in questi ultimi anni. È un continuo scambio di lettere fra un killer e un detective tormentato da problemi famigliari per aver abbandonato la figlia Ambra (Carlotta Gamba) in tenera età e che ora, da tossicodipendente, lo detesta; è un tentativo, fra ricercato e poliziotto, di penetrare le rispettive psicologie; è uno sforzo, per entrambi, di combattere contro la «malattia di vivere»; è una riflessione fin troppo intortigliata sulla morte incombente.
Per questo la luce è sempre livida, la fotografia si scontra con il buio e la scenografia sembra sempre sul punto di sgretolarsi, un presepe di case abbandonate, di baracche e di topaie. Prodotta da Sky Studios con Paco Cinematografica, «Dostoevskij», la serie diretta dai fratelli D’Innocenzo, è un thriller psicologico dal respiro cinematografico.
Il protagonista è Enzo Vitello (interpretato da un Filippo Timi che assomiglia sempre di più a Gian Maria Volontè), detective sulle tracce di Dostoevskij, un serial killer che uccide con una modalità costante: accanto al corpo l’omicida lascia trascritta su una lettera la propria visione del mondo, descrivendo gli ultimi attimi di vita della vittima.
Non sapendo come scovarlo, in contrasto con il suo superiore e i colleghi dell’unità investigativa (altre forze dell’ordine lo deridono e lo malmenano), Vitello comincia un segreto rapporto epistolare con l’assassino, costringendosi a guardare dentro di sé e sperando di dare un’identità concreta al suo spietato interlocutore.
Una relazione epistolare fra due fantasmi in un mondo che contiene entrambi: tenebre su tenebre, che solo le immagini possono sfiorare.
In realtà, è un continuo scambio di ruoli fra eroe e antieroe proprio per sfumare i confini tra bene e male, tra giustizia e crimine. Per lo stesso motivo, i generi si mescolano e si confondono, passando dall’horror al noir, dal gotico al dramma esistenziale. Forse si confondono troppo, come quando l’autorialità si confonde con l’indecifrabile.