Corriere della Sera, 30 novembre 2024
Quando Napolitano andò in visita ad El Alamein
Caro Cazzullo,
ha fatto bene a ribadire quanto sia stata opportuna e positiva la scelta di Carlo Azeglio Ciampi di rendere omaggio ai caduti di El Alamein. Vorrei aggiungere che lo stesso gesto venne compiuto da Giorgio Napolitano, che già si era recato a Cefalonia per ricordare il sanguinoso eccidio nazista dei soldati italiani. Nell’anniversario della battaglia africana, il 25 ottobre 2008, egli affermò che «tutti i caduti furono guidati dal sentimento nazionale e dall’amor di patria, per diverse e non comparabili che fossero le ragioni». E aggiunse, inquadrando quel durissimo scontro nell’ampia dimensione della seconda guerra mondiale: «È giusto dire che i veri sconfitti (…) furono i disegni di aggressione e dominio, fondati perfino su aberranti dottrine di superiorità razziale, che avevano trovato nel nazismo hitleriano l’espressione più virulenta e conseguente».
Giovanni Matteoli, Roma
Caro Matteoli,
grazie per aver rievocato la visita di Giorgio Napolitano a El Alamein. È l’occasione per ricordare che la destra italiana, allora largamente rappresentata da Forza Italia, votò nel 2013 la rielezione di Napolitano, salvo poi dannarne la memoria. Ma rendere omaggio ai caduti non dovrebbe essere né di destra né di sinistra. Nella risposta alla lettera su El Alamein, citavo la visita di Carlo Azeglio Ciampi anche come ricordo personale. Molti dei veterani che accompagnavano il presidente indossavano la camicia nera e il fez, il che non sarebbe possibile nelle commemorazioni di una battaglia della Germania nazista. Ma lasciamo perdere, sono peggio i saluti romani di ragazzotti che non sanno quello che fanno. I reduci se non altro c’erano. E si batterono benissimo, al limite delle loro possibilità. Non solo negli archivi italiani, anche in quelli tedeschi e inglesi è documentato il valore con cui gli italiani resistettero a forze soverchianti tra le dune di El Alamein. Molti preferirono farsi uccidere sul posto piuttosto che arrendersi. Torna in mente il cameo di Silvio Orlando, generale suicida, nel bel film di Enzo Monteleone dedicato appunto a El Alamein, che rivelò il talento di Pierfrancesco Favino. Il capitano Franco Balbis, fucilato al poligono del Martinetto di Torino con il generale Perotti e gli altri comandanti della Resistenza piemontese, era stato decorato a El Alamein, e nella splendida lettera che scrive al padre prima di essere fucilato dai fascisti – «Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana...» – lascia scritto di far celebrare ogni anno due messe, il 4 dicembre, anniversario della battaglia di Ain el Gazala, e il 9 novembre, anniversario appunto di El Alamein, «per tutti i miei compagni d’arme che in terra d’Africa hanno dato la vita per la nostra indimenticabile Italia» (nella storia ufficiale è scritto che la battaglia finisce il 5, ma per il capitano Balbis finì il 9). Detto questo, un lettore mi ha chiesto quale sia la fonte della mia affermazione, secondo cui se i tedeschi fossero arrivati ad Alessandria d’Egitto gli ebrei sarebbero finiti ad Auschwitz. Purtroppo è accaduto in ogni territorio conquistato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, Italia compresa, tranne rarissime eccezioni (i bulgari riuscirono a fermare la deportazione dei loro compatrioti ebrei).