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 2024  novembre 30 Sabato calendario

Ritorno a Dahieh

Tre giorni fa sarebbe stato folle entrare a Dahieh. L’aviazione israeliana colpiva 3,4 volte ogni 24 ore, sganciava le sue bombe senza preavviso e aveva trasformato la periferia simbolo del potere di Hezbollah in una «killing zone». Dahieh era un quartiere fantasma, senza abitanti, percorso da rare motociclette di coraggiosi che proteggevano le case dagli sciacalli. A tre giorni dal cessate il fuoco è tutto diverso. 
Il quartiere si è rianimato. C’è persino traffico. La gente torna a casa, scarica i materassi dall’auto, entra nell’appartamento devastato dall’onda d’urto e comincia a ripulire. La signora Ruqayyah dirige il lavoro dei figli come un’ingegnera. Sono 5, dalla più piccola di 3 anni al più grande di 14. Stanno lavorando al loro appartamento miracolosamente rimasto in piedi. Non ha più finestre, i mobili sono frantumati, ma c’è un tetto e tanto basta per ricominciare. Le femmine ramazzano in casa, raccolgono calcinacci, i maschi vanno su e giù dalle scale per buttare macerie e mobili irrecuperabili. Proprio a fianco dell’appartamento senza finestre, un edificio di cucine, bagni, camere e diwan alto 40 metri si è accartocciato in un millefoglie di cemento alto meno di un alberello. Basta il confronto per sentirsi fortunati. «Meglio a casa nostra che in un centro di accoglienza con altre 50 famiglie – dice mamma Ruqayyah —. Qui abbiamo un futuro». 
In strada ha riaperto qualche bancarella di falafel, passano carretti carichi delle banane piccole e dolci libanesi. Con tutte le finestre in frantumi Dahieh è il paradiso dei serramentisti, ce ne fossero 10mila lavorerebbero tutti. Si dice che per uccidere Hassan Nasrallah i bombardieri con la stella di David abbiano sganciato quasi cento tonnellate di esplosivo, per il suo sostituto in pectore Hashem Safieddin ne sono bastate 73. Di certo, nonostante i tre giorni di «pace» l’aria è ancora pregna dell’odore di esplosivo. Di solito se ne va in poche ore, massimo una notte, qui se n’è usato talmente tanto che brucia ancora le narici. 
Gli ex sfollati non se ne curano, come fanno finta di non sentire anche l’altro odore, quello della putrefazione. Quanti sono ancora i cadaveri sotto le decine di palazzi schiantati? Questo è un sobborgo di case alte, palazzoni di 10, 15, 20 piani. Quando uno veniva colpito crollava su sé stesso e le ruspe non si azzardavano a scavare per il rischio di nuovi raid. Il puzzo della morte è ovunque, ma, incredibilmente, le bombe non hanno strappato i fiori dagli alberi. Il recupero dei resti di Nasrallah (che era Nasrallah, il capo venerato) è durato una settimana. Per gli altri? Mesi? Con la tregua, pensano finalmente di fare il funerale del leader. Sarà la celebrazione di un conflitto che per il movimento sciita è stato un successo. 
Tanti qui vogliono credere a quel che ieri in tv ha detto il nuovo leader Naim Qassem. «É stata una vittoria divina». Aiuta a rimuovere il rumore delle bombe e dei droni israeliani, serve a convincersi che l’appartamento sventrato tornerà una casa sicura. Ma il concetto di vittoria è bizzarro. 
Il Libano ha avuto quasi 4mila morti (Israele poco più di cento), 1,2 milioni di sfollati (contro 60mila), almeno 8,5 miliardi di danni secondo la Banca Mondiale (rispetto a qualche milione). I suoi 150mila missili hanno fatto la figura delle freccette di velcro davanti all’hi tech della guerra sfoderato dallo Stato ebraico. Il Partito di Dio gettava ordigni più o meno a casaccio senza fare grandi danni, lo Stato ebraico uccideva chi, dove e quando voleva. 
La tregua resiste. È fragile, provvisoria, ma resiste. L’entusiaso per la casa ritrovata sarà messo a dura prova se Hezbollah non manterrà le promesse e non saprà ripagare i danni. Nel 2006 ci riuscì, ma ora la scala di distruzione è cento volte maggiore e il denaro a disposizione un’incognita. Per Hezbollah sarà questa la misura del successo. Netanyahu non è riuscito a sradicare Hezbollah come avrebbe voluto, ma per il movimento filo-iraniano non deludere gli elettori è un’esigenza esistenziale quanto restare in vita.