Corriere della Sera, 30 novembre 2024
Maggioranza e opposizione hanno trovato l’accordo sui giudici della Consulta
Per i giudici mancanti della Consulta, maggioranza e opposizione hanno trovato l’accordo su come mettersi d’accordo. Insomma, il metodo per eleggerli ora c’è. I nomi arriveranno entro un paio di settimane, quando il Parlamento si riunirà per la votazione decisiva.
L’intesa, arrivata in extremis, eviterà il blocco della Corte costituzionale che già da un anno deve fare a meno di un rappresentante e che a dicembre ne perderà altri tre per scadenza del mandato. Così vanno a buon fine le ripetute sollecitazioni del capo dello Stato, che ha esercitato la sua moral suasion con gli altri vertici istituzionali, con la premier e con i leader delle opposizioni, a partire dalla segretaria del Pd.
Non è stato facile. Ma dopo numerose votazioni in bianco e blitz della maggioranza andati a vuoto, destra e sinistra hanno elaborato un accordo frutto di un complesso meccanismo che si richiama agli attuali rapporti di forza politici e che prevede un sistema di blindatura dei candidati. Il primo passaggio è stato dedicato alla suddivisione delle quote. Inizialmente la maggioranza mirava a indicare tre giudici su quattro, e si faceva forte della regola che in passato aveva consentito al centrosinistra di fare il pieno alla Consulta. Per superare il muro contro muro, alla fine il centrodestra ha accettato di esprimere solo due membri della Corte e di lasciarne uno alle forze di opposizione. Il quarto sarà un nome condiviso dai due blocchi.
Visto il quadro, sembra scontato che per la maggioranza un giudice sarà scelto da Fratelli d’Italia e l’altro da Forza Italia, siccome la Lega è già rappresentata alla Consulta. Il Pd dovrebbe selezionare il candidato delle opposizioni, se non fosse che i 5 Stelle lo rivendicano, perché «uno dei tre membri che scadono è dei nostri». Ecco spiegata la cautela del democratico Boccia, e lo spirito zen con cui avvisa che «noi lavoriamo ogni giorno alla massima unità delle forze che si oppongono alle destre». Tradotto da un suo compagno di partito, «il nostro capogruppo voleva dire che dobbiamo tenere calmi i matti. E anche frenare richieste copiose per i posti».
La priorità è «sopire e troncare», per impedire la rottura dell’accordo. Che ormai è praticamente fatto. Infatti è stato anche stabilito di selezionare personalità «tecniche» e non «politiche». La discussione sul profilo dei candidati è stata importante: d’altronde giudici indicati hanno bisogno di un gradimento bipartisan, perché per essere eletti devono ottenere i voti di entrambi gli schieramenti. In ogni caso sui «tecnici» concordano tanto Meloni – che insiste sulla candidatura del giurista Marini (padre del premierato) – quanto Schlein, che ha detto ai suoi sherpa di evitare l’indicazione di un parlamentare. La premier e la leader del Pd hanno poi chiesto (e ottenuto) che venga rispettata la parità di genere nella scelta dei giudici.
Stabilite le linee guida, maggioranza e opposizione hanno escogitato il modo per portare a compimento la missione. Intanto hanno previsto un paio di «votazioni a vuoto» per allineare il quorum dei candidati e abbassare così la soglia dei consensi necessari per farli eleggere. A quel punto, quando basterà ottenere solo 360 voti dal Parlamento riunito in seduta comune, si adotterà una scheda unica con i nomi dei quattro aspiranti giudici della Consulta. «La scheda unica – spiega uno dei mediatori – impedirà che nel segreto dell’urna qualcuno organizzi un’operazione ostile. Così i franchi tiratori saranno depotenziati». Tra dita incrociate e calcoli approssimativi, «chiuderemo tutto nella seconda settimana di dicembre».
E tanti auguri a chi ha già iniziato a polemizzare contro la «lottizzazione» della Corte costituzionale, ignorando le norme in base alle quali un terzo dei membri della Consulta è espressione del Parlamento e dimenticando quanti in passato sono stati eletti allo stesso modo. Ma l’intesa, per quanto tecnica, ha anche una valenza politica. «Può segnare – come sottolinea il centrista Lupi – l’inizio di una nuova stagione nei rapporti tra maggioranza e opposizione. E se nel rispetto dei ruoli c’è la volontà di incrementare il dialogo istituzionale, questo meccanismo può rendere il clima più disteso. Sarebbe un messaggio che il Palazzo manda al Paese». Al momento è un messaggio che il Palazzo manda al Colle: è la risposta che Mattarella attende di vedere concretizzata.