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 2024  dicembre 06 Venerdì calendario

Bruzzone e quei crimini stravisti, dove l’unica narcisista è lei


«Io sono Roberta Bruzzone, psicologa e criminologa, e vi porto con me nella mente di Narciso». Ma la Rai è ancora un servizio pubblico? Com’è possibile mandare in onda una docuserie di cose viste e straviste, la cui unica novità è un’autopromozione della «criminologa e opinionista» (Wikipedia) Roberta Bruzzone che parla di narcisismo. Basta vedere come si presenta in scena, il suo stile dark, il tatuaggio, l’abito con una scritta ben visibile sulla manica destra, per capire che il narcisismo dev’essere materia di suo grande interesse.
Com’è noto, per una persona affetta da narcisismo c’è una sola realtà: quella dei propri processi mentali, delle proprie sensazioni e delle continue manifestazioni pubbliche. Ma non sono né psicologo né tantomeno criminologo, parlo solo perché la tv è una cassa di risonanza del narcisismo.
Nel realizzare la docuserie «Nella mente di Narciso» (da un’idea di Francesca Verdini e Luca Bellosi), Bruzzone se la cava con poco: un’introduzione di quelle in cui si spiega che il narcisismo è un disturbo della personalità (ma va?), che c’è un narcisismo buono detto Overt e uno cattivo, detto Covert (un po’ come il colesterolo) e poi, attraverso spezzoni di trasmissioni che hanno trattato i casi in maniera sensazionalistica (tipo «La vita in diretta» o i tg regionali) vengono raccontati quattro efferati casi di cronaca nera: «Benno Neumair, il delitto di Bolzano», «L’omicidio di Sarah Scazzi», «Il delitto di Temù, piccolo e tranquillo paesino della Lombardia» e «Il caso Tramontano-Impagnatiello». Sono temi così delicati che meriterebbero anche dai Contenuti Digitali e Transmediali della Rai una delicatezza e una profondità che in questa proposta non si vedono.
Mi sono sempre chiesto perché i più bravi criminologi italiani, penso, tra gli altri, a studiosi seri come Roberto Catanesi (ordinario Univ. Bari), Adolfo Ceretti (ordinario Milano-Bicocca), Isabella Merzagora Betsos (ordinario Statale Milano) non appaiano mai in televisione, lavorino sempre dietro le quinte per rispetto del loro lavoro e dei casi di cui si occupano. Il servizio pubblico dovrebbe porsi la stessa domanda.