La Stampa, 5 dicembre 2024
Intervista a Paolo Sorrentino
«Il vero valore di questo premio è un segnale a tutti coloro che vogliono fare film che abbiano un respiro». Il regista premio Oscar Paolo Sorrentino commenta con queste parole la vittoria di Biglietto d’oro e Chiave del successo del suo Parthenope, terzo film più visto dell’anno, alle Giornate Professionali di Cinema di Sorrento. È sempre di ieri la notizia del suo nuovo film La grazia, settima esperienza cinematografica condivisa con il sodale Toni Servillo dopo L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore, Il divo, Loro, La grande bellezza e È stata la mano di Dio. Le riprese del nuovo film, targato Fremantle e prodotto da Annamaria Morelli per The Apartment, e dalla Numero 10 dello stesso Sorrentino in associazione con PiperFilm, partiranno nella primavera 2025.
Cosa può anticipare de La grazia?
«Se dico che cosa è la grazia per me rendo inutile la realizzazione del film. Da vent’anni con Toni anelo a fare un film d’amore alla Truffaut, il che non vuol dire che dopo Fellini adesso faccio Truffaut, i detrattori dovranno impegnarsi di più stavolta a trovare imitazioni. A modo mio, e modo di Toni, abbiamo provato a declinare l’idea d’amore in un film».
Il suo rapporto con Toni Servillo dopo tutti questi anni e sette film insieme com’è?
«Non so più che dire su di lui, tanto ne ho parlato negli anni. Resta il mio fratello maggiore, con cui ho un rapporto importante perché al di là di tutte le relazioni che abbiamo, di amicizia e appunto fratellanza, e oltre al rapporto professionale che ci vede abitati da stima reciproca, è una figura che trovo rassicurante per lo stress da lavorazione di un film. Mi calma molto quando c’è Toni sul set».
Cosa ha convinto il pubblico del suo Parthenope?
«Ah non lo so, bisognerebbe chiedere al pubblico».
Ma secondo lei?
«Sarebbe presuntuoso da parte mia elencare i motivi per cui il film è piaciuto, ma sono felice che il pubblico abbia apprezzato un film non facile, così detto “d’autore”, su un tema come la caducità della vita, non proprio contenente un messaggino edificante. Questo indica sia la maturità del pubblico che una speranza per un certo tipo di cinema. Esistono molti giovani che vogliono fare questo tipo di cinema e delle volte sono demoralizzati, questo premio serve a dare un segnale a loro».
Essersi speso molto nella promozione e nelle interviste ha pagato?
«L’ho fatto anche altre volte, ma ora si sono moltiplicati i sistemi di comunicazione».
Ovvero?
«Prima i podcast non esistevano, o se esistevano non avevano la stessa rilevanza di oggi, quindi stavolta si è dovuto fare di più, anche perché il nostro team di comunicazione ha inventato iniziative utilissime per l’esito del film che faranno scuola e che già presentano cattivi studenti».
Parthenope è riuscito nell’impresa di parlare alle nuove generazioni, tant’è che il dibattito sul film è andato molto forte sui social.
«Abbiamo molto creduto nell’intelligenza e nella sensibilità dei giovani, non ci siamo lasciati fuorviare dal luogo comune secondo cui sarebbero una massa di indolenti, sdraiati a casa a guardare insistentemente i telefonini. Evidentemente sono altro. Ci saranno anche quelli ovviamente, ma sono altro. E coloro che hanno curato la comunicazione del film hanno saputo intercettarli».
Anche su TikTok.
«Io TikTok non ce l’ho e non so neanche bene cos’è».
Che futuro avrà Parthenope dopo la sala?
«Il film ha avuto un impatto immediato sul pubblico, ma sono fiducioso anche del suo futuro percorso a rilascio lento e che il film entrerà, per usare un’espressione della gente, con un maggiore tempo di decantazione».
Cosa risponde a chi le chiede come faccia a fare dei bei film?
«Mi siedo e dico: “Facciamo un bel film”. Pare una sciocchezza, ma ci sono colleghi che dicono: “Facciamo un brutto film, così sembra bello”. Invece io voglio farlo bello che sembri bello». —