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 2024  dicembre 05 Giovedì calendario

Il Meridiano di Agatha Christie curato da Moresco

Finalmente, anche ad Agatha Christie è stato dedicato un Meridiano. Una interessante e non scontata selezione di opere della regina del giallo raccolte sotto il titolo Fiabe gialle (Mondadori, 1668 pp., 80 euro). Lo scrittore Antonio Moresco è il curatore di questo volume imprenscindibile per i tantissimi fan dell’autrice inglese e anche per chi voglia avvicinarsi alla sua immensa opera. 
Perché un titolo come Fiabe gialle?
«È un titolo che spiazza, ed è giusto spiazzare il lettore togliendolo dalle sue idee preconcette, forse anche dalle sue pigrizie. Il termine “fiaba”, del resto, ha un significato più ampio di quello che gli si dà comunemente, perché le fiabe non sono solo racconti zuccherosi e dotati di lieto fine; anzi, le fiabe classiche sono terribili (pensiamo ad Hansel e Gretel), crudeli, e squadernano autentici inferni familiari. In fondo, anche I Promessi Sposi sono una fiaba, questa volta con un lieto fine: due ragazzi si devono sposare, ma vengono ostacolati da un malvagio; seguono catastrofi, calamità, pestilenze, e alla fine i due riescono a unirsi in matrimonio, anche se non con un lieto fine convenzionale. In questo senso più esteso, i libri di Agatha Christie sono “fiabe”; e questa parola, nel titolo, insieme alla faccina della bambina attonita in copertina, dà al lettore la giusta scossa».
È interessante la scelta di mettere in copertina l’immagine di Agatha bambina e non solo quella di Agatha signora matura, col tailleur di tweed e il giro di perle.
«Certo: perché nell’adulto c’è sempre il bambino che è stato, anche negli scrittori, anzi, soprattutto negli scrittori, nei quali c’è una permanenza dell’elemento infantile. Nei libri di Agatha Christie è impressionante la presenza di nenie e filastrocche infantili: pensiamo ai Dieci piccoli indiani (che qui è diventato E non rimase nessuno) o a Croocked House, qui tradotto come La casa sbilenca – e nell’aggettivo “sbilenca” c’è anche una connotazione di tipo morale. Proprio questo differenzia Agatha Christie dagli altri giallisti, pur tecnicamente abilissimi, che però non hanno dentro quel candore del bambino ferito che lei si è portata appresso per tutta la vita».
Quando ha iniziato a leggere la Christie?
«Avevo letto le sue opere da ragazzo, ma no, non era la mia preferita; all’epoca preferivo altri autori, per esempio Woolrich. Poi, circa dieci anni fa, ho riletto un suo libro, per caso, e mi è sembrato di cogliere una nota molto forte, per cui ho avuto il desiderio di andarle più vicino: allora ho letto cinquantacinque o sessanta suoi libri, in sequenza perché volevo raggiungere qualcosa che mi sembra che lei celi sotto la superficie perfetta della sua macchina investigativa. Un osservatore esterno potrebbe chiedersi che cosa c’entri uno scrittore come me con la Christie. Sembrerebbe, per parafrasare Gadda, un “accoppiamento poco giudizioso”. E invece in lei ci sono temi giganteschi».
Quali?
«Pensiamo a Dieci piccoli indiani, che qui compare col titolo E poi non rimase nessuno: la situazione che prospetta il libro è da giudizio universale, con questo uomo di legge che decide di farsi giudice di criminali impuniti, e insieme boia. Pensiamo al tema del “marchio di Caino”, che ritorna varie volte, anche in Sipario, il congedo di Poirot. Sempre in Sipario, Agatha Christie riprende la figura di Iago, e dice anche che il demonio esiste e compie il male nel mondo attraverso gli uomini, che sono le sue legioni. Temi pazzeschi, che la Christie affronta con quella leggerezza che è la sua forza, in una macchina narrativa perfetta, condotta con una sorta di candore. Ed è sempre con estremo candore, un candore nero, potremmo dire, che dice, per esempio, che i criminali dovrebbero offrirsi come cavie per esperimenti scientifici o medici, per riscattarsi. In questo si vede il tratto del bambino che non si censura».
Quindi Agatha Christie non è la tipica dama vittoriana.
«Proprio no: spesso le sue riflessioni fanno sobbalzare. A volte, sembra che si assesti comodamente su posizioni un po’ rétro, e poi spiazza: c’è in lei un pensiero profondo, non diluito né articolato. Alcune sue opere, del resto, sono sorprendenti: La rosa e il tasso, per esempio, non è un mero libro rosa, ma una storia degna delle sorelle Brontë. E poi, ci sono opere di ambientazione inaspettata, come la pièce su Nefertiti che spiazza per profondità».
Definirebbe Agatha Christie un’autrice sottovalutata?
«Di certo è una scrittrice molto più complessa di quanto non sembri, anche se molti la relegano ancora ad “autrice da treno”. All’equivoco ha contribuito lei stessa, che definiva ironicamente la sua attività “la mia piccola fabbrica di salsicce”, o che in un’intervista del 1974 affermava: “Mi piacerebbe che mi ricordassero come una discreta autrice di detective story” (!). Ma è una autodenigrazione ironica, un farsi più piccola di quel che si è conscia di essere, il che, in fondo, passatemi il paragone, è stato anche tipico di tante mistiche, come, per esempio, di Santa Teresina. Solo che la Christie è stata presa sul serio. E ha conquistato lettori di tutti i tipi, con libri profondi, grazie al perfetto dominio della macchina narrativa di un genere popolare come il giallo. E volte, per dirla con Virginia Woolf, il lettore comune, ingenuo, coglie aspetti che il lettore professionista, agguerrito, raffinato, non nota. La Christie non è ancora stata oggetto di quella rivalutazione critica propria di Chandler e Simenon, riconosciuti come grandi; lei non mette in soggezione nessuno».
La stessa sorte di King...
«Anche lui, in effetti, è stato a lungo sottovalutato, benché, rispetto ad Agatha Christie, abbia avuto il vantaggio di riduzioni cinematografiche dirette da grandi come De Palma e Kubrick. Ma certo anche King ha un lato infantile che gli consente di vedere il lato oscuro del mondo, e di esserne toccato in profondità».
Dei due investigatori preferisce Poirot o Miss Marple?
«Direi Poirot, anche se Miss Marple compare in libri molto belli, che però nel Meridiano, per motivi di spazio, non ho inserito: penso a Un delitto avrà luogo, ambientato nell’Inghilterra post secondo conflitto mondiale, fra crisi economica, famiglie distrutte e macerie dell’Impero. In generale, dovendo scegliere tra i gialli, ho dato la preferenza a Poirot, anche se scegliere è sempre doloroso: penso a un altro libro che adoro, Il pericolo senza nome, che qui con compare».
Parliamo della scomparsa di Agatha, nel 1926. Si è fatto un’idea su che cosa accadde davvero?
«La Christie, in effetti, è molto laconica su questo punto. Dirà sempre di non ricordare nulla di quei giorni. Secondo me, è possibile che non menta: essendo lei una romanziera, una narratrice di storie, abituata per statuto a stare sul limite dove la realtà e invenzione si fondono, forse non ha raccontato tutto, ma perché in quel periodo era così confusa e permeata dal dolore, per la fine del matrimonio e la morte della madre, che le due cose, realtà e finzione, restarono persino per lei stessa davvero indistinguibili».