Corriere della Sera, 5 dicembre 2024
Intervista a Marco Vigevani
Marco Vigevani, che cosa fa oggi un agente letterario?
«Cerca libri belli e autori interessanti da pubblicare. Qualche volta li trova».
Fatica?
«Soprattutto nello stabilire dimensioni, piani, misure. Ci sono scrittori raffinati che vorrebbero vendere come un influencer e quando si accorgono che non vanno oltre, per dirla grossa, le ventimila copie, allora si deprimono. Non è facile far capire che scrittori e influencer sono diversi».
Ma è anche parte del suo mestiere.
«A volte sì».
Suo padre è stato Alberto Vigevani, scrittore, libraio antiquario ed editore milanese, scomparso nel 1999.
«Un uomo che si è sempre occupato di libri e ha sempre scritto, anche quando le leggi razziali e il fascismo lo impedivano a lui e a tutti gli ebrei».
Editore raffinato, quanto è stato importante nella sua formazione?
«Solo oggi riconosco quanto sia stato rilevante per me. Per esempio, il suo gusto per il libro “esteticamente bello” lo comprendo bene adesso».
Stampiamo libri brutti?
«Sul piano estetico, secondo me sì, tanti. Carta porosa, copertine scialbe. Francia e Germania hanno un’idea ben diversa: da loro i libri costano di più, ma sono perfetti. Questo vuol dire che da noi il prezzo è troppo basso».
Venti euro in media per libro non sembra un prezzo basso.
«Il ragionamento è questo: ormai da anni il numero dei lettori in Italia è stabile e in più abbiamo visto che il mercato degli e-book è rimasto fermo. Vuol dire che tante persone “assaggiano” il libro sul supporto digitale, ma poi, se convinte, lo comprano e quando decidono di acquistarlo sono disposte a spendere un po’ di più».
Meglio meno libri, ma «belli» esteriormente?
«Un equilibrio tra la quantità e la qualità. I bravi artisti illustratori li abbiamo, penso solo a uno come Nicola Magrin, quello che ha firmato, tra le tante cose, anche le copertine dell’opera di Primo Levi o di Paolo Cognetti».
E che cosa dicono gli scrittori e le scrittrici, cioè la sua «clientela»?
«Per loro il libro costa sempre troppo, sono convinti che il prezzo basso faccia vendere di più. È falso. E poi i nostri anticipi non sono paragonabili a quelli americani».
Tra l’altro, molti editori scelgono gli esordienti facendo la conta dei follower sui social.
«E aggiungo che c’è sempre il nodo della popolarità. Tanti autori confrontano la propria fama con quella, ben diversa, delle celebrities».
E quindi lei deve spiegare loro che uno scrittore non è precisamente Fedez.
«Infatti».
Lei, dopo aver studiato filosofia, ha lavorato come editor per Mondadori. Dove c’era un Ufficio Cortesia.
«Rispondeva a tutti quelli che mandavano manoscritti o proposte».
Poi nel 2001 ha fondato con Claire Sabatié-Garat la sua prima agenzia letteraria. Dal 2015 è a capo di The Italian Literary Agency, la più grande tra le italiane, da lei fondata insieme a Claire.
«Lo sa che il primo, importante cliente come agente lo conquistai per errore?».
Racconti!
«Avevo appena fondato la mia agenzia, quando un grande editore tedesco, Michael Krüger, mi disse che si sarebbe affidato volentieri a me. Ne fui felicissimo. Quando ci incontrammo per la prima volta, esclamò: “Ma come sono felice di aver firmato un contratto con sua moglie”. Peccato che mia moglie all’epoca lavorava in un’altra agenzia».
Ma poi Krüger rimase! Quanti manoscritti riceve oggi la sua agenzia?
«In media due o tre alla settimana, ma noi abbiamo anche un servizio di lettura a pagamento, lì ne arrivano molti di più».
Tra gli autori da lei rappresentati ci sono tante donne, anche del passato, come Lalla Romano, per dire.
«Molto apprezzata da Calvino, non le hanno mai perdonato di aver scritto, nei romanzi, della sua famiglia. Un tempo c’era questo pregiudizio: il privato non era considerato politico. Ho un ricordo molto bello di lei, era amica di mio padre, assieme al poeta Vittorio Sereni venivano spesso a cena. Ma anche Natalia Ginzburg ha avuto gli stessi problemi, eppure Lessico famigliare è uno di quei libri che hanno una lunga vita».
L’editoria non è sempre stata tenera con le scrittrici.
«Prendiamo Alba de Céspedes: grande autrice, ma siccome qualcuno insinuava che lei era l’amante di Arnoldo Mondadori, le è stata preclusa la collana più prestigiosa, la Medusa Verde. Le è toccata la Medusa Blu, quella meno importante».
Giorgio Bocca aveva davvero un caratteraccio?
«Sembrava burbero, ma era un uomo generoso, oltre che un grande scrittore. Certo, si innervosiva quando qualcuno metteva mano al suo testo».
Che cosa lo innervosiva?
«Una volta insisteva nello scrivere che dalle finestre del suo liceo di Cuneo si vede il Monviso. Un nostro correttore di bozze obiettò, ma lui non sentiva ragioni: voleva vedere la montagna dalla sua città».
Tra i «viventi», lei nella scuderia conta anche uno dei campioni italiani di vendite, Maurizio de Giovanni.
«Con lui l’incontro è stato buffo, perché lo conobbi grazie a Bocca e a uno dei suoi libri ambientati a Napoli (Napoli siamo noi), poi non ci siamo sentiti fino a quando, a un Salone del Libro, gli dissi che mi avrebbe fatto piacere parlargli. E lui: “Ma ti stavo aspettando, vieni, corri”».
Il suo compito consiste anche nel far firmare all’autore il contratto perfetto, senza trappole. Difficile?
«Leggere un contratto richiede esperienza. Lì dentro c’è il futuro del libro, se non si sta attenti ci si precludono occasioni importanti in futuro».
Come funziona la «caccia ai diritti»?
«Le racconto questa. Lavoravo alla Longanesi e Mario Spagnol mi mandò a Londra. La mia missione era di procurarmi quei libri che, secondo lui, Fred Uhlman aveva lasciato senza copertura dei diritti. Così mi presentai alla vedova Uhlman con un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini. Non solo portammo a casa diversi libri, ma anni dopo riuscimmo a prendere anche il best seller L’amico ritrovato».
Un autore che l’ha colpita particolarmente?
«Sempre il grande Spagnol mi mandò a casa di Roald Dahl, autore di tanti best seller, come La fabbrica di cioccolato. Abitava a Nord di Londra. Era ricco e famoso, eppure scriveva in una baracca precaria in giardino, seduto su una vecchia poltrona, con una tavola sulle ginocchia che teneva fermo il foglio dove scriveva a mano».
Spinosa, qualche volta, può essere la questione degli eredi. Ci sono patrimoni letterari e artistici che rischiano di dissolversi se non sono bene amministrati. Voi, come curatori dei diritti, pensate anche a questo.
«A volte ci sono situazioni molto chiare, penso per esempio ai diritti d’autore di Indro Montanelli, che è nelle mani di Letizia Moizzi, perciò non ci sono grandi problemi. A volte, invece, gli eredi non si mettono d’accordo e quindi opere di grandi autori possono rimanere ferme per anni».
Tra gli stranieri, lei ha rappresentato Paul Auster.
«Ci siamo conosciuti a casa di Antonio Monda, in una delle sue formidabili spaghettate della domenica. Un grande autore, purtroppo scomparso troppo presto».
Gli italiani sanno scrivere best seller?
«Sempre di più. E frequentano sempre di più gli ambienti internazionali, scrivono per il pubblico prima che per sé stessi, pensano a farsi leggere da più persone».
Ci sarà, secondo lei, un «ultimo libro» nella storia dell’umanità?
«I libri resteranno, potrà cambiare il modo di leggere».